di Vittorio Volpi

La storia procede rapidamente. Mi sembra ieri che nell’80 assistevo nella “Grande Sala dei Popoli” ad una cerimonia per l’inaugurazione dell’ufficio della mia banca, alla presenza di tutti gli alti dignitari cinesi e di 3000 invitati. Sembra ieri, ma sono già trascorsi quarant’anni.

La Cina era la Cina di allora, certamente molto diversa da quella attuale. Il governo ci faceva accompagnare con auto antiche. Deng Xiaoping aveva da poco sostituito il grande leader Mao Tse-tung. Mao, protagonista della liberazione ed indipendenza della Cina, aveva giocato le sue carte basandosi su una filosofia ideologizzata e pauperista per far dimenticare “il secolo delle umiliazioni” e dare al paese un assetto politico “rinato”.

Deng puntò invece tutte le sue carte su un modello di economia “sviluppista”, maestro il Giappone, e cioè forte interazione stato-mercato e su un basso profilo politico. Deng intendeva liberare dalle catene della povertà centinaia di milioni di cinesi e favorire un inserimento soft nel capitalismo internazionale. L’avvento di Xi Jinping sta invece portando la Cina su una strada molto diversa che tenga conto di dove la Cina è arrivata e quindi del suo attuale ruolo: una strada eminentemente geopolitica. In breve, Xi – il sogno cinese – intende rispolverare l’antico “Impero del Centro” (non del mezzo, come erroneamente alcuni sostengono) che la storia gli assegna in questo momento.

Un compito non facile perché la Cina attuale si trova ad affrontare problemi sempre più complessi ed interdipendenti in un mondo dilaniato dalla geopolitica e dalle culture. Il cuore della strategia di Xi Jinping è quello di uno stato economicamente “liberale” e politicamente” statalista” , anche se può sembrare un ossimoro.

La leadership cinese attuale si è accorta che la vulnerabilità massima del paese è sul mare, considerato in passato invece una “grande muraglia”. Si rendono conto a Pechino che avendo la Cina oggigiorno un ruolo mondiale, sui mari potrebbe essere contenuta dalla superiorità della Marina militare USA e dai suoi alleati; il Giappone, per esempio. La risposta a questa sfida è quella di adottare un atteggiamento ”navalista” militarmente e di dare una veste “sinocentrica” all’ordine asiatico. È per questo che è nato il progetto BRI, Belt and Road initiative (Una Cintura, Una strada).

Questo progetto, riferito come Via della Seta, è il tentativo di mettere in pratica una nuova visione geopolitica. Non più basata sul modello di stato westfaliano con le sue frontiere, ma un nuovo ”paradigma di connessione”, legame e mezzo di collaborazione fra i popoli. L’elezione di Xi Jinping è stata la base di un confronto fra due scuole di pensiero principali ed ha vinto quella del Chongqing che enfatizza il ruolo dello Stato, rispetto al mercato. È più sensibile alle istanze sociali, adotta un modello autoritario, populista e neo-maoista.

Xi Jinping è uno dei Taizi-principini, e cioè parte di quella categoria di figli e nipoti degli eroi “della lunga marcia”. È molto attento al “caso per caso”, cauto a miscelare un confucianesimo ideazionistico o rivoluzionario (di Mao) con elementi del confucianesimo conservatore di Deng.

Per il progetto BRI sono stati stanziati centinaia di miliardi di dollari che dovranno servire a costruire una rete di infrastrutture (connettività) che si snoderanno per migliaia di chilometri e moltissimi paesi, ben 71, che hanno già aderito al progetto.

Si realizzeranno ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, impianti industriali; in un percorso che terminerà in Europa includendo porti come il Pireo (già cinese) e, presumibilmente, su fino a Trieste.

Inutile dire che sono diffuse le perplessità sulla BRI in vari paesi. Alcuni lo ritengono una forma di “neocolonialismo”, altri una trappola di debiti sovrani per i paesi aderenti, altri ancora, una manifestazione della volontà egemonica di Pechino. Comprensibilmente suscita reazioni negative sia in Giappone che in India, tradizionalmente ostile a Pechino.

Sorprende la leggerezza con la quale l’Italia ha deciso di aderire alla BRI, prima tra i G7. Apparentemente firmerà l’accordo durante la visita di Xi Jinping a Roma fra pochi giorni e presumibilmente collaborazioni per una cinquantina di progetti. L’Italia segue a ruota l’Ungheria, la Polonia, il Portogallo e la Grecia.

L’adesione italiana nasce dai due governi precedenti, di Renzi e Gentiloni; non è solo il parto dei 5Stelle, ed incontra naturalmente l’ostilità di Washington e certamente l’insoddisfazione da parte di Bruxelles, proprio nel momento in cui la UE deve affrontare con la Cina le discussioni sul tema cruciale della piattaforma 5G che vede con molte riserve l’ingresso in Europa delle aziende cinesi.

La mossa italiana sottolinea la dimostrazione di quanto sia sempre più inconsistente l’Eurolandia. Ognuno fa per sé. L’Italia che comunque da anni continua a sopportare un deficit di bilancio commerciale nei confronti di Pechino ed esporta in Cina 1/5 di quanto fa la Germania, spera, forse furbescamente, di potersi inserire in modo agevolato nei nuovi progetti della Via della Seta? Forse non si rende conto quanto sia difficile competere con chi usa a suo piacimento gli aiuti di Stato per le sue imprese? E poi ancora, se la UE si basa su un rapporto multilaterale con la Cina, perchè rompere il fronte UE stipulando accordi bilaterali?

Sfortunatamente la logica non è a suo agio in casa della politica…..