Alcibiade, Ateniese, dagli Ateniesi condannato per un’accusa (forse) infondata, si rifugiò a Sparta, sostenendola contro Atene.

Ma quando a Sparta divenne mal visto (anche) per una presunta relazione con la regina, si riavvicinò ad un terzo elemento in gioco, la Persia

Ritratto di uno spregiudicato genio politico, che seppe manovrare le più grandi potenze della Guerra del Peloponneso

Nato nel 450 a C, descritto dalle fonti come bello e intelligente, incarnerebbe perfettamente l’ideale di kalokagathia greca, se non fosse per la sua ambigua, indecifrabile spregiudicatezza. Dopo la Pace di Nicia, trentennale tregua del 421 a C  tra le due potenze rivali Sparta e Atene (tregua che 30 anni non sarebbe certo durata, venendo interrotta appena nel 414 a C con la spedizione Ateniese in Sicilia e lo spostamento del conflitto nell’isola Trinachia) Alcibiade, invidioso, a detta dello storico Tucidide, del prestigio del “pacifista” Nicia, mosse i primi passi in politica per incendiare nuovamente il conflitto con Sparta, puntando ad allearsi con Argo per contrastare il dominio spartano nel Peloponneso.

Gli esordi

La battaglia di Mantidea, con la vittoria spartana del 418, tuttavia, segnò la sua prima sconfitta politica, dimostrando il fallimento del suo intuito. Alcibiade, tuttavia, non si diede per vinto: caldeggiò la spedizione in Sicilia, sostenendo l’aiuto ateniese contro Siracusa. Per ironia della sorte, la spedizione, oltre che a lui, fu affidata al suo rivale Nicia, oltre che a Lamaco.

La Spedizione in Sicilia e la mutilazione delle Erme

La stessa notte prima della partenza, avvenne un fatto mai chiarito in seguito: le statue del dio Ermes che costellavano la polis di Atene, furono trovate decapitate e mutilate del fallo in pietra, quasi uno spregio alla pubblica morale e alla religione. Chi attuò questo vandalismo? Perché? La verità non fu mai scoperta. Ad oggi gli storici sostengono che furono una cerchia di antagonisti di Alcibiade ad attuare la mutilazione delle statue, con il preciso scopo di incolparlo, per impedire la partenza in Sicilia. Alcibiade, d’altra parte, non era immune da precedenti accuse di blasfemia: avrebbe osato, si diceva, parodiare i misteri eleusini di Kore e Demetra, travestendosi anche da donna. Così, non appena mise piede in Sicilia, una nave ateniese ormeggiò alle sue calcagna per richiamarlo affinché fosse processato ad Atene. Ed egli, fingendo remissione, la seguì, per poi prendere il largo e, una volta salvo, sbarcare a Sparta. Vi restò sino al 414-413. In questi anni aiutò Sparta con importanti manovre anti ateniesi: consigliò alla polis di rafforzare Decelea, roccaforte spartana a controllo dell’Attica, regione ateniese, con successo.

Alcibiade a Sparta, amori e tradimento

Divenuto nemico del re Agide, poiché, si vociferava, gli avrebbe insidiato la moglie, il suo prestigio iniziò a calare a Sparta anche dopo la morte sospetta dello spartano Calcide e dopo la sconfitta spartana a Mileto. In una lettera pervenuta anonima al navarco spartano Astioco si ordinava addirittura di ucciderlo.  Fu così che comprese che fosse ora di andarsene da Sparta, iniziando, ad un certo punto, a pensare di ritornare nella “sua” Atene.

Tissaferne, satrapo di Persia, era giunto nella polis Spartana per cercare un’alleanza contro Atene, per riprendersi le terre perse con le Guerre Spartane. E Alcibiade, dopo Atene e dopo Sparta, si avvicinò alla Persia per “danneggiare gli interessi degli Spartani” come racconta Tucidide e ritornare ad Atene.

“Alcibiade al bordello” Cosroe Dusi, 1838. Seducente e libertino, l’immagine di Alcibiade affascinò i romantici e i neoclassici

Tissaferne – il doppio gioco di Alcibiade

Il doppiogioco di Alcibiade fu di indurre Tissaferne a non aiutare, come promesso, economicamente gli Spartani, con due semplici motivazioni: il soldo ai marinai andava diminuito, poiché essi lo spendevamo male (in prostitute e taverne), in secondo luogo andava fornito loro irregolarmente, per evitare defezioni col soldo ricevuto regolarmente. Così Alcibiade si vendicava di una Sparta ormai divenutagli nemica. Iniziò a mandare via le ambascerie che obiettavano ai mancati aiuti promessi da Tissaferne, scacciando anche i Chii che avevano defezionato da Atene per allearsi con Sparta ed ora si ritrovavano a mani vuote. Ad essi rispose che avevano già denaro, agli altri consigliò di impiegare il denaro delle tasse destinate ad Atene. L’intento era chiaro: spezzare il fronte Spartano-Ateniese, staccare Tissaferne da Atene, fingere che egli passasse dalla parte ateniese, per ottenere così il riconoscimento da parte di Atene di averle procurato un alleato staccato a Sparta e ritornare ad Atene.

L’ipotesi del narratore Tucidide, sostenuta dallo storico Delebeque, è che Tissaferne non fosse così abbindolabile, bensì quelle di Alcibiade fossero le sue stesse intenzioni, ed Alcibiade volesse soltanto appropriarsene per farsi bello al cospetto di Atene (e, forse, della Storia.)

Relativamente a quest’ipotesi sporge un problema filologico sui capitoli del libro VIII in cui Tucidide racconta gli intrighi di Alcibiade e Tissaferne: il 29 e il 45, distanti ma incredibilmente somiglianti. Che fossero in attesa di essere revisionati dal grande storico greco, che, invece, colto dalla morte prima della fine dell’ultimo libro della sua opera (l’VIII, appunto, incompiuto). non avrebbe avuto il tempo di revisionarli? È la tesi di Delebeque.

Alcibiade nel frattempo consigliava a Tissaferne di non affrettare la conclusione della guerra tra le due potenze (una sola apparizione delle navi del re avrebbe fatto tremare la potenza contro la quale il satrapo si fosse schierato), bensì di logorare le due potenze, anche se gli ateniesi, questo, diceva Alcibiade al satrapo, si sarebbero presentati dei soci “migliori” degli spartani.

(continua). 

Chantal Fantuzzi