Crisi politica senza fine nel parlamento inglese. Secondo il calendario risalente a due anni fa, il 29 marzo 2019 il Regno Unito avrebbe dovuto lasciare l’Unione europea. Ma grazie all’ennesimo fallimento del primo ministro Theresa May, per far sì che il parlamento inglese sostenesse il suo accordo, la Brexit adesso appare più caotica del previsto.

I legislatori britannici continuano a non essere d’accordo e non riescono più a trovare una intesa su come esattamente questo divorzio dovrebbe funzionare. In Europa l’umore è molto cupo.

Con la votazione di oggi pomeriggio, i parlamentari hanno respinto nuovamente per la terza e ultima volta l’accordo sulla Brexit, con 344 voti contro 286, malgrado il primo ministro abbia offerto in cambio le sue dimissioni. Theresa May non ha più la maggioranza in parlamento, soprattutto senza il sostegno fondamentale dei pochi voti del Partito democratico unionista (DUP) e del principale partito all’opposizione, quello laburista.

Il leader laburista, Jeremy Corbyn, ha detto che il suo partito non può sostenere una Brexit alla cieca in cui ai parlamentari viene chiesto di votare per un accordo di uscita senza avere una precisa idea del futuro.

Nell’ambito dell’accordo raggiunto dai leader dell’Unione europea a Bruxelles la scorsa settimana, la Brexit sarebbe stata posticipata al 22 maggio se il primo ministro ossee stato in grado di ottenere, entro questa settimana, il sostegno del parlamento per l’accordo di ritiro.

Adesso Theresa May non può fare altro che tornare a Bruxelles prima del 12 aprile, termine dell’ultimo mini rinvio, per chiedere maggiore tempo, che significherebbe imporre al Regno Unito di partecipare alle elezioni europee del 23 maggio scatenando la rabbia di quelli favorevoli alla Brexit, oppure accettare una Brexit senza nessun accordo.

Difficile trovare la via di uscita da quest’impasse. Ma appare chiaro oramai, con il clima politico attuale, che la cosa più ragionevole è che l’estensione fino al 12 aprile so trasformi in un lungo ritardo, per aumentare la possibilità di elezioni generali in Gran Bretagna e di un secondo referendum che potrebbe portare addirittura all’annullamento della Brexit.

Uscire dall’Unione europea senza accordo è uno scenario da incubo. Prima che si votasse il referendum sulla Brexit, il Regno Unito era vincolato all’Unione europea da oltre quarant’anni di leggi e regolamenti condivisi. Un rapporto così stretto con gli altri 27 stati membri visto come un singolo paese sotto molti aspetti. Uscire senza un accordo, vedrebbe queste innumerevoli leggi e regolamenti stracciati durante una sola notte, causando gravi conseguenze per l’economia del paese.

I sostenitori della linea dura della Brexit non hanno capito poi che in questo scenario il Regno Unito deve pagare circa 51 miliardi di dollari per il suo disegno di divorzio. Cosa che gli esperti legali affermano che all’Unione europea gli è sufficiente una semplice causa in un tribunale internazionale per ottenerli.

Molti opinionisti inglesi sono d’accordo nell’affermare che il paese è guidato da un partito conservatore non idoneo al potere che non è adatto a guidare un parlamento che non è in grado di legiferare. La Brexit lo ha dimostrato e un secondo referendum dovrebbe essere l’inizio di riforme urgenti.

Theresa May ha preso il comando nel 2016 dopo che tutti gli altri sfidanti sono caduti pugnalandosi alle spalle l’un l’altro. May ha insistito sul fatto che non avrebbe indetto elezioni anticipate, promettendo un governo forte e stabile. Ma ha perso la sua maggioranza e ha presieduto un governo debole e instabile.

Secondo l’editorialista inglese Gary Younge, i conservatori oggi, terrorizzati dai loro stessi membri e sopraffatti dalla rivalità interna, non riescono a governare né se stessi né il paese. Le loro divisioni sono molteplici e inconciliabili. Mancano di disciplina, direzione, coesione, coerenza, sostanza, statura e credibilità.

Contraddizioni che non sono più sostenibili e che forse porteranno ad elezioni inglesi anticipate.