Quando la Persia di Tissaferne iniziò a dubitare di Sparta (e non solo grazie ad Alcibiade) e Atene divenne oligarchica

Lica, lo Spartano “duro e puro” (e irato con la Persia)

L’alleanza tra Sparta e la Persia era in realtà molto labile: Lica, uno spartano dai forti costumi, aveva mandato a monte l’ultima trattativa con il satrapo Tissaferne (che aveva l’asciato l’assemblea spartana assai adirato per il comportamento iroso di Lica), con la sua strenua opposizione (ed il suo scoppio d’ira) a cedere al Gran Re territori greci dell’Asia Minore. Come Lica, tanti erano gli Spartani che mal vedevano l’alleanza con la Persia. Così Tissaferne iniziò a comprendere (autonomamente, senza necessariamente le manipolazioni psicologiche di Alcibiade) che gli Spartani non fossero poi così affidabili.  Tucidide (VIII, 52) lo scrive chiaramente: “on il suo comportamento Lica aveva confermato il discorso che aveva fatto precedentemente Alcibiade, sul fatto che gli Spartani avevano reclamato la libertà delle città della Ionia d’Asia.” E Tissaferne, con Lica, aveva toccato con mano l’inaffidabilità spartana. “Lica, nel momento in cui diceva che non era sopportabile che si concludesse un accordo in base al quale il re dominava sulle città sulle quali in un momento precedente avevano combattuto o lui o i suoi prodi. E Alcibiade dal canto suo, visto che la posta in gioco era così grande, con grande impegno, stava dietro a Tissaferne, facendogli la corte.”

Così lo scenario si sposta ad Atene: ove Alcibiade aveva convinto gli ateniesi a che aveva il potere su Tissaferne e ove gli ambasciatori tornati da Samo esaminavano quali fossero gli elementi necessari per il cambiamento di regime.

Pisandro e le eterie per il Colpo di Stato del 411

È il solstizio d’inverno del 412, l’unico elemento di cronologia assoluta in tutta l’opera di Tucidide (qui al c.44 del libro VIII), ovvero mancano pochi giorni all’inizio del nuovo anno, per noi il 411 a C. Per cambiare regime ad Atene occorre prendere contatto col demos, col popolo, per convincerlo a sostenere gli oligarchi (gli aristoi). È Pisandro ad occuparsene:  tutt’altro che alleato di Alcibiade (era stato capo dell’inchiesta per la mutilazione delle Erme nel 415 e aveva sollecitato la tortura agli indagati pur di scovarne il colpevole) è lui, tuttavia, a prendere la parola in assemblea ad Atene, assieme agli altri delegati da Samo, per proporre loro le condizioni per la vittoria contro Sparta: “potevano avere il re come alleato e vincere i Peloponnesiaci, se avessero richiamato Alcibiade e se non si fossero governati in modo così democratico” (Tucidide, VIII, 53). Quale dolce perifrasi eufemistica per esprimere il cambiamento dalla democrazia all’oligarchia!

Non avendo tuttavia un responso così entusiasta, Pisandro adottò un’altra tecnica: prese da parte singolarmente gli obiettori e chiese loro in quale altra alternativa la città si sarebbe salvata. Fu il tema dell’emergenza, a piegare le resistenze: solo l’adozione di un governo più moderato e l’affidamento delle magistrature a pochi avrebbero creato i presupposti per uscire dall’emergenza. Non come, ma quando: la necessità di salvezza era nell’immediato, costasse quel che costasse, compresa l’oligarchia dittatoriale di pochi, di contro la centenaria democrazia.

Frinico non si era esposto in questione, così Pisandro lo sollevò dal comando, assieme al di lui collega Scironide, sostituendoli con Diomedonte e Leone (che fecero un attacco vincente contro gli Spartani di Rodi). Frinico iniziò così a pagare la sua diffidenza verso Alcibiade. Pisandro coltivò poi i contatti con le eterie segrete, le élite per prepararne il favore al Colpo di Stato. Movimenti segreti, dunque, esattamente “l’antitesi”, secondo Cinzia Bearzot, “della democrazia.” Per indicare queste società segrete ateniese (una sorta di gruppi carbonari), Tucidide usa il termine xunomosiai anziche “eterie” per rendere più compatta l’idea di aggregazione segreta tra pari.

Nel frattempo l’isola di Chio aveva defezionato da Atene, la quale avviò contro l’isola una spedizione punitiva, vincitrice, ma che le costò la morte del proprio generale, l’ateniese Pedarito.

La non-volontà di Tucidide e Tissaferne

Sul campo da gioco, tre uomini. Alcibiade, Tissaferne, Pisandro. Nonché Tucidide, a raccontare, e a dire esplicitamente il suo pensiero: sia Tissaferne che Alcibiade non volevano veramente aiutare gli Ateniesi, entrambi volevano logorare ancora per un po’ le due potenze. Gli Ateniesi giunti a Samo per parlare col Satrapo, tuttavia, si accorsero che Tissaferne non era poi così sottomesso ad Alcibiade: Alcibiade giocò allora un bluff: propose agli Ateniesi, durante l’assemblea e in presenza di Tissaferne, di fare al Gran Re le stesse concessioni che gli Spartani avevano ponderato di fare a Tissaferne (senza che tutti, tra essi, ci credessero, come ne è emblema il caso dello scoppio d’ira di Lica) ovvero tutta la Ionia d’Asia e isole, nonohé il diritto ma alla terza trattativa, gli Ateniesi considerando irraggiungibile un accordo, anche per le esagerate proposte di Alcibiade, (accordo tale anche da parte di Tissaferne, per il fatto che preferisse logorarli più che aiutarli), fecero saltare la trattativa e ripartirono pieni d’ira per Atene. Le proposte, in effetti, avrebbero annullato la precedente pace di Callia del 449, fatta tra la Persia sconfitta e Atene vincitrice, all’indomani delle Guerre Persiane, che prevedeva soprattutto il divieto alla flotta persiana di circolare nell’Egeo. La libera circolazione della flotta fenicia del Gran Re proposta da un avventato Alcibiade non sarebbe stata possibile da accogliersi, per gli Ateniesi.

Alcibiade (a sinistra) e Socrate, in un dipinto neoclassico. Socrate fu mentore di Alcibiade quando guesti era adolescente.

Il progetto di Alcibiade era fallito. Con le sue richieste agli Ateniesi, per dimostrarsi legato a Tissaferne, aveva esagerato. Tissaferne, compreso perfettamente ciò, si rivolse nuovamente a Sparta.

Il terzo trattato tra Sparta e la Persia, un inganno della Persia?

Così la Persia si riavvicinò a Sparta, stipulando il terzo trattato di pace, secondo cui Sparta avrebbe riconosciuto al Gran Re il diritto sull’Asia (non l’Asia minore, poiché gli Spartani come Lica e gli Ateniesi non erano poi così diversi sull’avere a cuore i propri possedimenti), mentre la Persia avrebbe finanziato Sparta: pagando sì il necessario per l’equipaggiamento della flotta senza però, al momento, far pervenire la propria flotta fenicia. Nel frattempo, finiva il 20 anno della più logorante guerra della Grecia, che vedeva Sparta e Atene contrapposte.

Le condizioni per una battaglia finale, effettivamente, c’erano, ma gli Ateniesi non accettavano di attaccar battaglia, essendo consapevoli della propria fragile situazione interna: chiosa Tucidide (VIII;63,3): “Infatti, in quel periodo, e anche un po’ prima, la democrazia ad Atene era stata abbattuta.”

Chantal Fantuzzi

(continua)