Dopo il rifiuto di entrare nello spazio economico europeo espresso dal popolo nel 1992, la Svizzera ha dovuto scegliere la via bilaterale con l’Unione europea.

Da allora, sono stati conclusi circa 120 accordi istituzionali che regolano i rapporti tra Svizzera e Unione europea, di cui circa 20 sono accordi bilaterali importanti, che garantiscono alle imprese svizzere l’accesso a determinati comparti del mercato interno europeo.

Pur mantenendo la propria autonomia politica, gli accordi bilaterali permettono alla Svizzera di tutelare i propri interessi in Europa che secondo i dati è il più importante partner economico commerciale, con il 60% delle esportazioni svizzere destinato all’Unione europea e il 70% delle importazioni svizzere proveniente dall’area UE.

Dunque, sono numerosi accordi che coprono vari ambiti con diritti e obblighi specifici che per certi aspetti fanno sembrare la Svizzera uno stato membro. Legami che si fondano sull’uguaglianza, sulla reciprocità e l’equilibrio dei vantaggi per le due parti.

Ora, pur preservando la propria indipendenza e le istituzioni svizzere come la democrazia diretta e il federalismo, l’Unione europea chiede di rafforzare e approfondire la partecipazione della Svizzera al mercato interno dell’UE con un nuovo accordo quadro in sostituzione dei precedenti accordi, atto a garantire una maggiore certezza del diritto e il pari trattamento dei Paesi.

Lo spunto nasce dalla volontà europea di alzare i dazi doganali del 25% sull’importazione dell’acciaio per evitare che l’acciaio cinese, a buon mercato, venga riversato nel mercato europeo dopo che gli Stati uniti hanno dato seguito a misure protezionistiche contro la Cina. Le conseguenze potrebbero essere importanti anche per la Svizzera.

Mentre alcuni esortano a unirsi per non compromettere l’accesso al mercato unico europeo, altri evidenziano ostacoli più che altro politici legati al controllo dei salari e alle questioni sull’immigrazione.

I delegati dell’UDC, ad esempio, sono scesi in campo con 13 rivendicazioni contro questo nuovo accordo, definendolo un trattato di sottomissione. Il presidente del partito, Albert Rösti, sostiene che questo, una volta approvato, aumenterà l’immigrazione, la pressione sui salari, la fine della democrazia diretta e quindi dell’autodeterminazione, ed altre questioni che andrebbero a scalfire il benessere della Svizzera. In sostanza chi ha stima di sé stesso non dovrebbe vergognarsi della sua autonomia sostengono.

L’accordo prevede infatti che la Svizzera dovrà riprendere la legislazione europea, ed eventuali divergenze con l’Unione europea in merito alle differenti interpretazioni del diritto comunitario saranno trattate da uno speciale tribunale arbitrale.

Ma a parte la percentuale contraria del 60% dei simpatizzanti appartenenti all’UDC e, secondo un sondaggio dell’istituto gfs.bern, operativo dal 1959 nel campo della ricerca sociale, un 20% del totale del popolo votante tendenzialmente contrario, la maggioranza riconosce il fatto che si debba trovare un accordo vista la necessità di non perdere assolutamente lo scambio commerciale con il mercato interno europeo.

A livello politico, un chiaro sì a trovare la strada del giusto compromesso per la firma dell’accordo istituzionale giunge da tutti i partiti tranne che dall’UDC.

Del resto, va tenuto conto di quello che sta avvenendo nel paese meravigliosamente più strano dell’Europa: il Regno Unito. A dieci giorni dalla scadenza gli inglesi rischiano una Brexit senza accordo che porterà inevitabilmente conseguenze economiche molto gravi al paese.

Una riapertura dei negoziati con l’Unione europea potrebbe essere necessaria, perché l’economia svizzera poggia su un quadro normativo e di relazioni stabili proprio con i Paesi circostanti.

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NOTA BENE. Questo articolo può sembrare abbastanza “neutrale”, ma è giusto sottolineare che la linea del portale è contraria all’accordo quadro.