Notre Dame brucia, leggo la sera del 15 aprile. Spegneranno le fiamme, penso. D’altra parte, nei giorni scorsi, durante le accese proteste dei Gillet jaunes un’altra chiesa aveva preso fuoco, ma la notizia non era quasi trapelata. Poi, alle ore venti, leggo che è crollata la guglia. La guglia di Notre Dame, alta 93 metri, che domina quella Parigi…che io non ho mai visto. Nell’epoca del globalismo, io che viaggio così tanto, non ho mai visto Parigi. Me ne rammarico, me ne vergogno di questa autoreferenzialità, ne soffro ancora di più, poiché sta bruciando quella Cattedrale che, così come fino a ieri era, non vedrò mai.

I titoli sono catastrofici, Notre Dame brucia, il tetto è crollato, la guglia implosa su se stessa, l’interno in legno del XIII secolo, distrutto. Tutto per un restauro, tutto per un’impalcatura troppo lignea, che ha preso fuoco. Un’impalcatura lignea nel 2019? Si.

I titoli dei tg scrivono che non resterà nulla, che l’edificio è a rischio crollo. Poi i reporter che ripetono ossessivamente l’assurda frase “l’edificio è molto fragile perché del XIII secolo” quasi a trovare un senso all’assurda distruzione.

La notizia che le statue dei dodici apostoli e dei quattro evangelisti siano state rimosse pochi giorni addietro per un restauro, è emblematica. Le statue, alte 3 metri per 250 kg, sono salve. Il messaggio è angosciante: che cosa si salverà, di questa Chiesa ormai laica in nome del nuovo, che tutto ha perduto, dignità compresa? Tutto imploderà nel fuoco del maligno, su questa terra stessa, si salveranno solo i portatori del Messaggio di Cristo, della buona notizia dell’eu Evangelion. Altro non sarà più. Al Qaida gioisce, emoticon con la faccina che ride vengono premute da molti islamisti. Tranquilli, scrivono alcuni giornalisti, i terroristi islamici hanno gioito anche per catastrofi “semplicemente” naturali. Alias= non sono stati loro.

Giunge la notte, una notte di preghiere incessanti ché il simbolo di Parigi, della Francia, dell’Europa Intera, non crolli. Che quell’incubo finisca. Un canto religioso s’intona attorno alla cattedrale: sono i parigini dell’Île de France che pregano. Loro, gli eredi dei giacobini, della Parigi rosso sangue della Rivoluzione, loro che si appellano a Dio. A San Luigi Patrono. A Santa Giovanna d’arco, che in quella Cattedrale venne riabilitata e santificata. E che, come la Cattedrale, arse. A Nostra Signora, Notre Dame.

Alle tre di notte l’attesa notizia: Notre Dame è in piedi, resiste, è salva. La struttura è uscita dalle fiamme, estinte. 400 pompieri hanno incessantemente lavorato, uno di loro è stato ferito gravemente. Il tesoro della Cattedrale è stato portato in salvo: la corona di Cristo, portata da San Luigi IX, e la tunica del Santo Crociato. I quadri, purtroppo, arsi. Molti di loro, fortunatamente, erano stati musealizzati nel 1860 al Louvre.

Sorgono incessanti, ossessivi, interrogativi d’angoscia: il rosone é intatto? O è imploso per il calore dell’incendio? Perché non ci sono vetri all’esterno? Cosa resta della Cattedrale?

Nel frattempo, tra i titoli dei giornali anti nazionalisti, che individuano nell’incendio il simbolo della fine dell’idea di nazione (= alias: nazionalisti, fatevene una ragione avete perso) ai nazionalisti stessi che individuano nell’incendio un attentato, qualcosa di premeditato (perché l’impalcatura era in legno? Perché l’incendio non è stato estinto subito?) Tra politici che guardano il Grande Fratello anziché stringersi nel dolore di ciò che resta della Civiltà Europa, tra critico d’arte (?) che si precipitano nei talk show a urlare che in Notre Dame, in fondo, non c’è nulla di valore, poiché il mito della Cattedrale “è solo letteratura”, tra gli occidentali che sottovalutano il fatto che l’isis scriva “distrutto il simbolo dei Crociati”, tra tutto ciò, non sorge che un’immensa, immane tristezza.

Chantal Fantuzzi