Visto il particolare interesse che questo articolo riveste nelle circostanze attuali, lo riposizioniamo.

La sua data originale è il 17 aprile 2019. Bruno Brughera era allora, ed è oggi, un sostenitore del molinari e vorrebbe, come ha detto stamani alla radio, proporsi come “mediatore” tra il municipio e gli autonomi.

Riceviamo tramite Sergio Roic – che in particolari occasioni appare, molto apprezzato, su questo stesso portale – il seguente articolo, che pubblichiamo integralmente, osservando che

  • Esso non impegna in alcun modo la redazione
  • La nostra idea di base è sempre la stessa: la Città, e soprattutto il suo Municipio, non debbono comportarsi come se fossero ostaggio dei “molinari”. È stato elaborato un valido ed attraente progetto; che esso sia realizzato a vantaggio di tutti i cittadini.
  • Brughera si interroga ansiosamente sui possibili motivi di opposizione al “molino”. Mancato rispetto di regolamenti, scarsa considerazione per le aspirazioni dei giovani, eccetera… È ben strano che gli sfugga la risposta più semplice: il motivo è l’occupazione illegale di uno spazio che la Città ha destinato ad altri scopi, legali e vantaggiosi per tutta la comunità.
  • Il Vicesindaco si mostra disponibile al dialogo, e noi lo lodiamo per questo. Ma troviamo assolutamente fuori luogo il tono di sufficienza che l’estensore dell’articolo si permette di usare. Il Vicesindaco non è il suo compagno di banco o di boccalino al grotto.

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In un recente dibattito al liceo 1 di Lugano organizzato dal collettivo studentesco indipendente, si è voluto parlare di autogestione, del ex macello, del CSOA. Presente AIDA (associazione idea autogestione) e il vicesindaco Michele Bertini.

Gli interventi dei giovani presenti sono stati per la maggioranza pertinenti, arguti è ben esposti, a testimonianza che questa problematica sta molto a cuore ai giovani! Purtroppo gli adulti da sempre sono refrattari ad ascoltare e a dialogare con e per i giovani. Eccetto rare occasioni -per esempio coloro che operano professionalmente con i giovani- si tende a banalizzare e dar loro il “menavia”.

Non è stato il caso in questa occasione, non si può dire che Bertini non si sia messo in gioco: ha ascoltato e risposto ad affermazioni e domande, cercando a mio avviso di mettere la discussione su un piano civico. Più volte ha ribadito il concetto di legalità, l’esistenza di leggi e il rispetto di procedure. Ha sostenuto il senso civico, la partecipazione alla cosa pubblica ed ha evidenziato i problemi tra “padrone di casa e inquilini”, cercando di impartire una sorta di lezione ai giovani presenti (d’altronde il contesto scolastico poteva portare a questo approccio).

Bertini non è uscito con le “ossa rotte”, come poteva temere, perché il livello civile degli interventi è stato alto, a riprova che a volte i pregiudizi nascono a torto, e che in molti casi sono gli adulti ad essere sopra le righe. Ma a noi interessa riflettere qui sul concetto di illegalità, che è uno dei punti cruciali della diatriba tra autorità e CSOA. Avremo modo, un giorno, di ripercorrere tutte le tappe del contenzioso, magari con chi possiede tutta la memoria storica, ma ora vogliamo capire in primis perché e come si tollerano certe situazioni “ di illegalità”, o addirittura le si sostengono mentre altre vengono bandite o richiamate come argomento per squalificare la contro parte.

Stiamo ancora aspettando il riconoscimento ufficiale, sancito e scritto nero su bianco, del diritto all’ autodeterminazione e alla pratica dell’autogestione! A parole Michele Bertini ha ribadito che il municipio non è contrario, che riconosce l’importanza dell’esperienza, ma esige dalla controparte il rispetto di regole per ristabilire la legalità.

Già, la legalità… come se quel luogo fosse una terra di nessuno dove imperversano delinquenza e malaffare. È ovvio a tutti che siamo tenuti a rispettare le leggi, ma rispetto all’esperienza dell’autogestione di che cosa stiamo parlando?

Di normative sulla sicurezza, sulla mescita di bevande e somministrazione di pasti caldi, legge edilizia, sicurezza e ordine pubblico, ordinanze municipali sui rumori molesti correlati a manifestazioni e concerti? Evidentemente l’elenco può essere lungo visto che la nostra società si è strutturata sempre più, e funziona in base a una miriade di norme complicate, grazie a centinaia di avvocati che amministrano e legiferano sulla cosa pubblica. Sono innegabili le traversie che ogni cittadino deve affrontare per districarsi nelle varie amministrazioni a tutti i livelli. Chi riesce ad essere ligio a tutte le norme e leggi in vigore? Io di certo no, e gli altri ? Senza banalizzare, in bicicletta quanti rispettano tutti i codici della strada ? In auto chi non ha mai sorpassato, anche di poco, i limiti di velocità? E avanti di questo passo l’elenco è quasi interminabile e coinvolge tutti: politici, poliziotti, funzionari, cittadini …

Torniamo alla realtà del Molino, cosa mai ci sarà di così tanto illegale? La mescita di bevande? Quante feste campestri vengono svolte con l’intento di fare cassa, cercando di vendere il più possibile e fomentando l’uso spropositato di alcool? Lo possono fare con l’escamotage di qualcun che presta la patente di esercente (spesso nemmeno presente). A cappello delle attività del Molino per esempio, c’è l’associazione Alba e come tale può organizzare eventi e distribuire bevande e cibo ai soci e simpatizzanti… voilà e il gioco è fatto questo è legale! Vogliamo continuare a cercare cosa è legale o meno? Lo sanno anche i paracarri che il Mojito per anni è andato ben oltre la legalità ed era sponsorizzato dallo stesso municipio di Lugano! Sappiamo pure, che in diverse occasioni, lo stesso comune è inciampato in procedure non corrette di appalti e quant’altro . Gli ultimi dati sulla criminalità ci dicono che è sempre più attuata da colletti bianchi – funzionari di banche e soprattutto di fiduciarie- ma spesso si continua a far credere all’opinione pubblica che viviamo sotto l’attacco di delinquenti stranieri. Potremmo proporre parecchi paragoni del genere a chi continua a insistere su questo tema. Una cosa è certa: pochi, forse nessuno al di fuori di simpatizzanti e partecipanti, ha capito cosa sia l’esperienza autonoma di autogestione.

Probabilmente nemmeno io lo so spiegare esattamente, perché non la vivo come esperienza quotidiana. Ma posso condividere e simpatizzare benché non ne faccia parte. Chi agisce in un contesto di centro sociale presuppone di muoversi un luogo aperto, uno spazio paragonabile forse ad una enclave, ad un punto franco, in cui potersi sentire protetti e liberi di esprimersi, di accogliere le varie proposte e di partecipare alle attività. Un presidio carico di solidarietà e di impegno, anche conflittuale verso uno stato che ha disatteso molte speranze di uguaglianza e rispetto verso l’altro. Un luogo dove soprattutto i giovani possono fare esperienze aggregative che siano impegnate, ma anche solo per il tempo libero di svago e divertimento. Omologare tutto il contenitore CSOA e parificarlo alla bocciofila di turno o alla discoteca alla moda, significa non comprendere il grande valore sociale e morale che l’esperienza mette in campo da anni! Osteggiare per principio queste esperienze che conducono un gruppo di persone ad autodeterminarsi e sperimentare in autonomia modelli di condivisione e assunzione di responsabilità, significa precludere percorsi di vita, significa impedire il realizzarsi processi oggettivi di partecipazione e in ultima analisi impedire di fatto l’esercizio del diritto di autodeterminarsi, il che a ben vedere cozza con i nostri principi costituzionali.

Bruno Brughera, portavoce di AIDA