di Fabio Käppeli*

A molti piace ricordare che la Svizzera è uno stato liberale, vale a dire che da sempre ha garantito, tramite la Costituzione e le leggi, le libertà individuali dei propri cittadini. Ora si vogliono svendere queste garanzie su imposizione dell’UE, togliendo dei diritti senza alcun miglioramento per la sicurezza. Infatti, l’unica motivazione addotta dalle forze politiche che si professano liberali per sostenere la ripresa della restrittiva legislazione europea sulle armi è lo spauracchio dell’uscita da Schengen. Si ripete che Schengen sarebbe vitale per la Svizzera, cercando soprattutto di dare l’impressione che i vantaggi sussistano solo e unicamente per il nostro Paese. Invece è un fatto: di Schengen approfittano entrambe le parti, in determinati settori l’UE addirittura più della Svizzera. Ad esempio, i dati che le autorità svizzere inseriscono nel sistema di informazione di Schengen sono di qualità molto migliore rispetto a quelle che la Svizzera può richiamare.

La decisione sul mantenimento dell’accordo è quindi una decisione politica, non giuridica, in cui l’UE ha un chiaro interesse affinché la Svizzera rimanga nello spazio di Schengen. Oltretutto, la tesi secondo la quale entro 90 giorni saremmo fuori dall’accordo non regge: gli accordi prevedono unicamente che entro tale termine le due parti debbano incontrarsi per trovare una soluzione pragmatica. Nulla osta quindi a poter respingere l’inutile oltre che liberticida inasprimento della legge sulle armi. Inutile perché le misure proposte non contribuiscono minimamente a combattere il terrorismo – l’obiettivo dichiarato della direttiva europea che si è voluta riprendere – e colpiscono invece unicamente i cittadini onesti. Sappiamo che gli attentati terroristici non avvengono con armi possedute legalmente: infatti le armi a raffica utilizzate ad esempio negli attentati di Parigi sono già oggi proibite, mentre con l’inasprimento si vogliono ora proibire i fucili semiautomatici. E così anche un simbolo svizzero quale è il fucile d’assalto diventa di principio proibito, detenibile solo con una «autorizzazone eccezionale» rispetto al normale permesso d’acquisto odierno. E ciò nonostante le ripetute rassicurazioni in occasione della votazione sull’adesione all’accordo di Schengen, quando in un libretto esplicativo come quello ricevuto a casa in questi giorni addirittura il Consiglio federale assicurava che il timore di restrizioni incisive nel nostro diritto sulle armi era ingiustificato, e che «chi intenderà acquistare un’arma non dovrà fornire alcuna prova della necessità»

La questione è quindi così riassunta: senza nemmeno aver provato a dimostrare i vantaggi in termini di sicurezza e di lotta al terrorismo – obiettivi senz’altro legittimi e condivisi da tutti – si vogliono sacrificare dei diritti importanti cari non solo ai tiratori ma a tutto il popolo svizzero. La sicurezza rischia semmai di risentirne, con la burocrazia che aumenterà il numero di poliziotti dietro la scrivania, mentre la legge sulle armi attualmente in vigore e già sufficiente per combattere gli abusi. Una simile imposizione dell’UE non giustifica in alcun modo una riduzione della nostra libertà individuale: per salvaguardare i nostri diritti si impone un chiaro no il prossimo 19 maggio.

* deputato PLR in Gran Consiglio e presidente della Società carabinieri della città di Bellinzona

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