Il vice premier cinese Liu He ha tenuto a precisare che la mancata conclusione sugli accordi dei negoziati commerciali con gli Stati Uniti è soltanto una momentanea battuta di arresto. I negoziati, durati alcuni giorni, si sono infatti conclusi venerdì con un nulla di fatto.

Liu He ha detto con cauto ottimismo che i negoziati continueranno, ma ha insistito sul fatto che questo richiede da parte dell’amministrazione una reale volontà di porre fine alle tariffe punitive che ha imposto a miliardi di dollari di beni cinesi.

Trump, dopo il mancato accordo degli ultimi negoziati, l’undicesimo colloquio formale per l’esattezza, ha scelto invece una linea più dura, rispondendo con un forte nuovo aumento delle tariffe, dal 10% al 25%, su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi.

Negli ultimi tempi le due maggiori economie del mondo hanno creduto di essere vicini ad un progetto di accordo che si sarebbe potuto concludere proprio in questa settimana. Trump sostiene però che la squadra di Liu He sta cercando di rinegoziare i termini di un accordo in evoluzione, e, stanco, si ritiene pronto all’imposizione di dazi doganali su tutte le importazioni dalla Cina.

La Cina vuole un accordo fondato sull’uguaglianza e la dignità, ha affermato Liu, aggiungendo che le differenze sono questioni di principio sulle quali la Cina non può fare concessioni.

I tempi sono cambiati, entrambi i paesi combattono per il dominio, la posizione e la ricchezza globale. Questa guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che dura da appena un anno sta dimostrando di essere una controversia che potrebbe protrarsi per decenni. I progressi fatti verso un accordo commerciale sono improvvisamente crollati, con entrambe le parti che hanno indurito le loro posizioni negoziali.

Gli Stati Uniti sono molto diffidenti nei confronti del ruolo emergente della Cina nell’economia globale per le tattiche che usa. Il segretario di Stato Mike Pompeo, ha paragonato le ambizioni cinesi a quelle della Russia e dell’Iran. In un discorso tenuto a Londra, ha detto che Pechino pone “un regime autoritario integrato economicamente in Occidente in modi che l’Unione Sovietica non ha mai tentato”.

Un nuovo tipo di sfida dunque. Tanto è vero che si sono erette delle barriere per limitare gli investimenti cinesi nelle aziende americane, riesaminando anche il tipo di tecnologia che può essere esportata in Cina per limitarla nella costruzione di reti di telecomunicazioni di nuova generazione.

La Cina ha senz’altro l’ambizione di dominare le industrie del futuro, ma respinge la teoria del segretario di Stato americano: “gli Stati Uniti sventolano ancora queste tariffe dopo aver valutato male la forza, la capacità e la volontà della Cina, aggravando ulteriormente l’attrito commerciale esistente tra i due paesi”.

Trump è convinto che la Cina stia aspettando le prossime elezioni presidenziali del 2020 per vedere di portare avanti un accordo con una eventuale vittoria democratica. Ma ha fatto sapere che l’accordo sui negoziati commerciali diventerà molto peggiore per la Cina se sarà trattato nel suo secondo mandato. “Sarebbe saggio per loro agire ora”, ha detto Trump.

Le tariffe commerciali attuali sono il punto di partenza per i cinesi che richiedono che siano completamente rimosse prima che possa essere raggiunto un accordo. La Cina ha imposto come contromisura, dazi doganali su quasi tutte le importazioni statunitensi, con il maggior impatto sentito dagli agricoltori e dagli esportatori di energia.  Gli agricoltori americani, che hanno visto un forte calo delle loro esportazioni, hanno chiesto aiuto all’amministrazione di Trump che è stata costretta a mettere in atto un pacchetto di aiuti da 12 miliardi di dollari per cercare di prevenire un contraccolpo politico. Finora però sono insufficienti.

Molti in Cina vedono negli Stati Uniti un potere declinante volto a far valere la propria volontà su un nuovo mondo che non rivendica più la sua potenza egemonica. La Cina è effettivamente cresciuta in prosperità balzando tra le fila dei paesi a reddito medio-alto.

La sua economia è ora più grande di qualsiasi altro paese tranne gli Stati Uniti, ma il suo settore manifatturiero è ora più grande di quelli di Stati Uniti, Germania e Corea del Sud messi insieme. Il governo cinese ha costruito un arcipelago di basi aeree militari su isole artificiali nel Mar Cinese meridionale tra Vietnam, Malesia, Indonesia e Filippine, e può contare ora sulla più grande flotta del mondo. Ha condotto esercitazioni militari fino all’Africa orientale e nel Mar Baltico.

La Cina, inoltre, sta estendendo prestiti a basso costo e costruendo infrastrutture in tutto il mondo. Ha effettuato ingenti investimenti negli Stati Uniti in alcune industrie ad alta tecnologia e sta guadagnando il dominio in alcuni segmenti come i pagamenti tramite il telefono cellulare, i veicoli mossi ad energia elettrica e le aree dell’intelligenza artificiale.

Anche se ci sarà un accordo tra Xi Jinping e Donald Trump, nel lungo periodo la relazione strategica bilaterale è già in difficoltà, perché il punto del non ritorno è stato superato. Le vedute dunque dovrebbero essere più ampie.

La maggior parte degli analisti, soprattutto quelli dell’inglese Oxford Economics, leader nella previsione globale e nelle analisi quantitative con oltre 1500 società e istituzioni finanziarie internazionali partecipanti, sostiene che ci sarebbe un costo elevato per entrambi i paesi dalle tariffe più alte, ma l’economia americana ed europea perderebbero slancio. Il probabile costo degli aumenti tariffari derivanti dalla perdita della domanda cinese di beni degli Stati Uniti rimbalzerebbe negli Stati Uniti e danneggerebbe gli stati e le industrie chiave nel resto del mondo.