di Michael Sfaradi

Foto Wiki commons (Stolbovsky, Mosca)

Le notizie su ciò che sta accadendo nel golfo Persico, in particolare dallo stretto di Hormuz dove transita più di un terzo della produzione petrolifera mondiale, e sulle tensioni tra gli Usa e l’Iran, arrivano con il contagocce. Washington e Teheran sono gli attori principali di questa partita che potrebbe trasformarsi in tragedia, ma i comprimari sono di tutto rispetto: l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar e il Bahrein, praticamente il gotha dei produttori di petrolio, con Israele che potrebbe intervenire nel caso fosse chiamata in causa come lo fu durante la prima guerra del golfo. Per capire la situazione attuale e gli eventuali sviluppi, bisogna fare un passo indietro al 30 aprile 2018 quando il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, che non aveva mai creduto alla buona fede di Teheran, mostrò al mondo ben 500 chilogrammi di documentazione Top Secret sul nucleare iraniano che il Mossad, il servizio segreto dello Stato Ebraico, aveva recuperato in un magazzino di Teheran. La documentazione, esaminata anche dagli esperti statunitensi che dopo la figuraccia delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non possono più sbagliare, il mondo non aspetta altro, provava che l’Iran non ha rispettato gli impegni presi con la firma dell’accordo di Ginevra che metteva fine all’embargo USA. Per Trump, sempre alla ricerca di motivi per demolire ciò che Obama è riuscito a inventarsi durante i suoi due mandati, l’OK ricevuto dagli specialisti della C.I.A. è stato il gancio che gli ha permesso di ritirare la firma degli Stati Uniti dal trattato e davanti allo stupore di Obama e John Kerry, che non credevano arrivasse a tanto, ha anche rinnovato le sanzioni contro Teheran. Da quel momento gli Ayatollah hanno ricominciato a minacciare gli USA e Israele mentre l’Europa della lady PESC Mogherini cercava di barcamenarsi pur di salvare il salvabile.

Le minacce più serie e delicate riguardano proprio il blocco del traffico marittimo nello stretto di Hormuz e l’aumentare del traffico marittimo militare iraniano nel golfo Persico, in particolare la presenza di numerose barche veloci dei Pasdaran che nel periodo Obama misero più volte in difficoltà le poche navi da guerra che il Pentagono impiegava in quella zona, hanno fatto scattare le contromisure di questi giorni. Martedì 8 maggio l’Iran ha reso noto che non avrebbe più rispettato le limitazioni sull’arricchimento dell’uranio imposte dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo sul nucleare firmato il 14 luglio 2015 da Teheran, Germania ed i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, quali USA, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina,  e il Pentagono in risposta ha schierato nel golfo Persico i bombardieri B-52 Stratofortess facendo passare la manovra come mossa preventiva alla minaccia di attacco da parte dell’Iran contro le forze statunitensi nella regione. Dall’otto maggio è continuata l’escalation di notizie sempre più inquietanti come la notizia, poi smentita, che 120.000 soldati sarebbero stati inviati nella regione mentre il 9 maggio la portaerei USS Abraham Lincoln e la sua squadra navale, superava il canale di Suez e si dirigeva verso il golfo Persico.

A questo va aggiunto che la USS Kearsarge nave da attacco anfibio è approdata vicino agli Emirati Arabi Uniti. Mentre alcuni droni di fabbricazione iraniana, in mano agli yemeniti, hanno bombardato dei siti petroliferi sauditi, 4 petroliere, due saudite, una degli Emirati Arabi e una norvegese sono state colpite da atti di sabotaggio e mentre gli specialisti stanno eseguendo le verifiche sugli scafi al fine di chiarire eventuali responsabilità, è trapelato che due cacciatorpediniere, l’USS McFaul e l’USS Gonzalez, hanno attraversato lo stretto di Hormuz.

 

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