Il sistema che traduce il voto in seggi, ha da sempre interessato la politica di tutto il mondo, il Ticino non fa eccezione. Nella mia attività parlamentare ho sostenuto che il nostro regime è esasperatamente proporzionale, che ha ormai fatto il suo tempo. Vero che coinvolge tutte le componenti del Paese, ma a quale prezzo? È lento e la ricerca del consenso risulta difficile e prolissa. Per le decisioni poi, è pur sempre necessaria una maggioranza, sovente non compatta e conseguenza di interessi di bottega. Si applica un do ut des spesso non cristallino.

Un esempio recente: la maggioranza dell’Esecutivo, obtorto collo, aveva detto si alla Scuola che verrà, ottenendo in compenso l’avallo al risanamento finanziario. La reazione della sinistra lo ha ampiamente dimostrato. Non è stato un gran spettacolo. E si potrebbe andare avanti. Da granconsigliere mi sono battuto per introdurre il Sistema Maggioritario, ahimè senza successo. Il tentativo più importante risale al 1997. Nella Commissione speciale per la Nuova Costituzione cantonale, non ero riuscito ad ottenere la modifica. E allora nel plenum avevo sottoposto un emendamento per cambiare la specifica indicazione del sistema elettorale nella Magna Carta. Venne firmato da una quindicina di colleghi, liberali ma anche un paio di popolari democratici e di leghisti. La cosa suscitò il disappunto dei vertici del PLR e del PPD. Anche la Lega si oppose. Un suo “capo” (allora non c’erano ancora i colonnelli di oggi, ma era uno dei più influenti!) mi confessò che pur essendo favorevoli non potevano rinunciare alla fetta di potere, leggi cadreghe, che il proporzionale, con la consolidata applicazione del Manuale Cencelli, assicura a tutti. L’allora direttore del Dipartimento delle Istituzioni minacciò di ritirare il messaggio qualora l’emendamento fosse passato. Ovviamente, quasi inutile dirlo, non passò. Si dà il caso che dopo vent’anni gran parte dei grandi sostenitori del proporzionale non la pensino più così.

Un autorevole personaggio del PPD, a quel tempo grande oppositore, poco tempo fa ha affermato: “È tempo di saltare il fosso e passare al maggioritario”. Non avessi letto tra virgolette la sua dichiarazione stenterei a crederci. La scheda senza intestazione, con il suo 20%, dimostra che un quinto e degli elettori preferisce votare la persona che il colore della sua giacca. In sostanza è la palese dimostrazione che una voglia di maggioritario c’è. Le recenti elezioni cantonali però hanno segnato un passo indietro. Non è certo con 14 partiti in corsa per il Consiglio di Stato e 16 per il Parlamento, che si può indicare chi governa e chi fa opposizione. Difficile, se non impossibile, creare dei poli che assicurino una dinamica efficiente e controllata, soprattutto nel Legislativo. Ben ha fatto il nuovo Gran Consiglio a bocciare l’accesso alle Commissioni a chi non ha raggiunto i cinque mandati in Gran Consiglio. Con il sistema in vigore è purtroppo legittimo che le piccole formazioni ottengano seggi raggiungendo lo 0,9%. Un quorum automatico del nostro sistema che andrebbe corretto verso l’alto per dare agli eletti un minimo di sostanza e credibilità.

La legislatura appena iniziata è tutta da scoprire. Contrariamente a quanto potrebbe offrire il maggioritario, e cioè un Governo forte, rapido ed efficiente, nonché un’opposizione quasi altrettanto forte, vigilante e motivata, con il potere nel mirino grazie alla possibile alternanza, ci sarà una sicura difficoltà nel governare. Non sarà facile trovare almeno tre partiti che si uniscano nel legislativo e assicurino coerentemente i numeri necessari. Dall’altra parte una opposizione frastagliata e sostenuta da un debole seguito popolare, sarà anche molto attiva, ma in sostanza poco credibile. Aumenteranno i referendum e le iniziative, che sostengo, ma di cui non bisogna abusare, ritardando le decisioni in un’era in cui tutto avviene in tempo reale. Attendo solo di essere smentito, in questo caso, garantisco, me ne rallegrerò.

TULLIO RIGHINETTI

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