La Direzione dello sviluppo e della cooperazione è un’importante componente del Dipartimento federale degli affari esteri. Sintetizzando, le incombe il compito di concepire, proporre e attuare la politica umanitaria della Confederazione. Ogni tre anni viene presentata, con un messaggio del Consiglio federale, la richiesta di credito per il periodo, credito che si aggira sugli 11 miliardi di franchi e che, come richiesto dal Parlamento, dev’essere pari allo 0,5 percento del reddito nazionale lordo.

Il dottor Cassis a Berna, la sera prima dell’elezione (foto Ticinolive)

Agli inizi di maggio la Direzione dello sviluppo e della cooperazione ha emesso un rapporto che è l’inizio dell’iter istituzionale per l’approvazione del credito per il triennio 2021-2024. I commentatori hanno subito notato una differenza tra il rapporto per il periodo precedente (consigliere federale Burkhalter) di 458 pagine ed il progetto di rapporto attuale (consigliere federale Cassis) di 50 pagine. L’esondante rapporto per il periodo 2017-2020 è stato pesantemente criticato anche da parlamentari che lo hanno persino considerato una scortesia nei loro confronti. Per esperienza posso dire che rapporti prolissi e di estenuante lettura hanno due sole possibili origini. O sono la confessione che l’estensore non domina sufficientemente la materia per distinguere l’importante dal dettaglio, è privo della capacità di sintesi, oppure, più spesso, è un’abile furbata che dovrebbe permettere nella ridda di notizie anche minime e di cifre di nascondere le magagne.

Ma la cura del dottor Cassis non si ferma qui. Infatti, si propone di ridurre le nazioni nelle quali interveniamo dalle attuali 54 ad una quarantina e di concentrarsi su quattro aree del mondo (Nord Africa – Medio Oriente; Africa subsahariana; Asia; Europa dell’Est) al fine di evitare la dispersione di forze ed interventi insignificanti per la loro modestia.

Anche l’enfasi sugli scopi varia: mentre nel passato si parlava più di prevenzione di crisi, diritti dell’umanità, stato di sanità, oggi si pone maggiormente l’accento sulla creazione di posti di lavoro, sullo sviluppo economico e sul valore aggiunto che ci si prefigge con l’intervento svizzero. Anche la valutazione degli interessi della Svizzera ha un suo peso, inclusa la considerazione della disponibilità di Paesi aiutati a riprendere propri cittadini illegalmente emigrati da noi.

Detto questo non dobbiamo dimenticare che l’aiuto non consiste solo nella messa a disposizione delle somme, ma nel controllo che queste somme vengano usate con efficienza, perché solo così gli interventi contribuiranno ad alleviare le innumeri miserie del mondo. Le pesanti critiche del compianto economista lord Bauer a proposito delle migliaia di miliardi della Banca mondiale con i loro insuccessi e relativi sprechi, le più recenti critiche del Nobel Angus Deaton non sono dirette contro la necessità dell’aiuto ma contro le modalità spesso inefficienti.

Quando poi mi si dice che si sono dovuti dare a suo tempo miliardi per aiuti umanitari al dittatore africano Mobutu, che se li è intascati personalmente, per impedire che passasse al campo comunista la trovo un’idea da testa quadra della CIA, che riteneva l’esercito iracheno di Saddam Hussein, sfaldatosi in pochi giorni, uno dei più potenti del mondo. Se avessimo lasciato dare i miliardi dall’Unione Sovietica avremmo risparmiato i nostri soldi con l’infido Mobutu e in sostanza non sarebbe cambiato nulla.

Gli undici miliardi su tre anni della Svizzera sono una cifra importante ma oggettivamente una goccia nel mare dei bisogni; da qui la necessità di usare competenze ed esperienze esistenti e unire le forze per programmi più vasti. Comprensibile quindi il sostegno a programmi di enti mondiali prevalentemente emanazione delle Nazioni Unite. Questo affidarci a chi ha competenze e mezzi superiori ai nostri non ci esclude però dal diritto (obbligo) di controllo. Per intenderci, dobbiamo denunciare fatti quali quelli verificatisi nell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi che nei tanti rivoli di soldi distribuiti sosteneva associazioni palestinesi che finanziavano libri per la scuola di chiaro indirizzo antisemita e che propagandavano la lotta contro Israele. Parimenti comprensibile la collaborazione ed il finanziamento di ONG, molte di loro con lunga esperienza in Paesi dalle realtà molto difficili e complesse. Anche qui va tenuto però presente che alcune di queste ONG sono fortemente ideologizzate e la loro azione è anche strumento di diffusione delle proprie ideologie. Niente contro in un mondo di dibattiti a proposito di concezioni sulla struttura della società. Queste ONG sono spesso molto ben finanziate da chi ne condivide gli intenti, ma lo Stato deve evitare di mettere soldi pubblici a favore sostanzialmente dell’una o dell’altra ideologia. Verrebbe meno alla propria neutralità istituzionale.

Esser presenti sul campo umanitario è per la Svizzera un dovere cercando però, nell’interesse dei beneficiari, di avere il massimo impatto grazie all’efficienza. La diagnosi del dottor Cassis va nella giusta direzione, auguriamogli che possa prescrivere anche la terapia.

Tito Tettamanti