Milano, Palazzo Reale. Ultima settimana della mostra su Napoleone, la quale, irripetibile, ha coniugato le vicende salienti dell’ascesa dell’Imperatore dei francesi e dei pittori che ne coronarono, sancendone, con le loro arti, la carriera politica e militare. In essa spiccano quadri provenienti da Montauban (Museé Ingres), ovviamente Parigi (Museé de l’Armeé) e persino New York, da cui proviene la celebre Odalisca (Ingres, 1830) in versione chiaroscuro.

Non solo l’imperatore spicca nella mostra, la quale si apre con i nudi sia maschili che femminili di Ingres, per indagare poi il ritratto di pittori celebri e meno noti, dei personaggi (non solo bonapartidi) più eccelsi dell’epoca. Dal ritratto alla scena di guerra, ai bozzetti preparatori dei quadri più celebri, ogni particolare accurato rende la visita un percorso attento in un passato che non è più, ma che ancora ci parla.

Dalla fisionomia indagata nei ritratti di borghesi e militari, alla loro spiritualità (e carnalità) più o meno visibilmente insita, in occhi lucidi e intensi, che paiono fuoruscire dalle tele, pregni di quell’ideale ottocentesco, oggi scomparso, alle gesta dei grandi, da Murat, che si fa ritrarre in cappotto grigio e tricorno mentre varca le Alpi, forse proprio per offuscare il cognato che, tempo due lustri, tradirà; all’ineffabile, poliedrico, Napoleone Bonaparte.

Da ritratti inediti e sorprendentemente realistici del giovane trentenne, ai busti idealizzati del Canova che lo ritraggono come Marte in trono, pacificatore, alla stele di marmo che lo mostra nell’atto di distribuire le Arti, (idealmente) bello come un dio greco. Al quadro, infine, che ne segna l’apice del potere: l’incoronazione imperiale.

Ingres, Napoleone sul trono imperiale – particolare.

Arriva come una conclusione prevedibile ma inaspettata, il ritratto di Ingres. La grande tela è preceduta da un semicerchio di bozzetti a matita accuratamente disposti in modo che al centro figuri proprio quello definitivo, cosicché il visitatore, alzando lo sguardo, rimiri il capolavoro. E Napoleone è assiso su trono di forma ovale, il cui schienale richiama l’orbita percorsa dal carro del dio Sole (e, forse, prelude ineluttabilmente al suo tramonto). Sul suo capo la corona posata non è quella romanzesca dalle molte punte d’oro, trapuntate di diamanti e porpora dei re del nord europa (come quella di Francesco II, che Napoleone stesso declassò a Francesco I, sconfiggendolo e poi sposandone la figlia, e poi venendo dal suocero tradito…), bensì un intreccio d’aureo alloro, richiamo alla classicità dell’Europa meridionale. E l’imperatore ci guarda, il volto pallido, quasi verdognolo, le guance contratte in una smorfia di soddisfazione nella quale, tuttavia, è impossibile non scorgere ripicca, vendetta, un non so ché di voler far valere la propria rivincita… il genio di Ingres gli delinea le sfumature della barba impercettibile, e l’ossatura del cranio che già reca i segni del tempo sulle tempie. Napoleone ha 40 anni, due anni dopo sposerà la figlia dell’Imperatore d’Austria, la diciottenne Maria Luisa, che gli partorirà l’erede. Ma un anno dopo la nascita del bellissimo figlio, ecco la campagna di Russia, la caduta dell’Aquila, la fuga dall’Elba, i cento giorni e poi Waterloo, Sant’Elena e la fine dell’uomo al contempo più amato o odiato della storia moderna.

Tutti questi eventi, la mostra non li tratta. Assenti, dalla vita di Napoleone nella mostra, anche le donne, sia la creola Giuseppina, che l’austriaca Maria Luisa, eccezion fatta per Maria Amalia, sposa del suo figliastro il Viceré Eugenio, entrambi ritratti nei quadri provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Milano (il cui edificio era proprio una delle residenze del vicerè).

Si ferma con l’incoronazione, in un’ineffabile sensazione di memoria storica. Nell’ultima sala, la pittura religiosa di Ingres e il celeberrimo dipinto della morte di Leonardo Da Vinci, di cui quest’anno si celebrano i 500 anni dalla di lui dipartita, assistito, secondo la leggendaria narrazione del Vasari, dal re di Francia Francesco I, piangente sul genio.

Una fine, per un genio artistico, una fine per un genio militare. L’incoronazione, che sancisce il successo, non è forse l’inizio della fine del successo stesso, pur essendone l’apice?

Chantal Fantuzzi

 

Milano, Palazzo Reale, fino al 23 giugno 2019

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