La “guerra della croce”, scoppiata nell’imminenza della Pasqua e durata pochi (ma intensi) giorni, l’abbiamo seguita e vissuta, con i giornali e i portali nostri confratelli. Braglia e il  Municipio contro il Masi, così è stata percepita dal pubblico, forse con eccessiva semplificazione. 

Abbiamo incontrato, in occasione di una nostra visita alla sua Collezione, il dottor Gabriele Braglia, il fondatore. Il colloquio che abbiamo intrecciato con lui – sull’arte, sul collezionismo, sulla mostra di Xhixha – è stato per noi assai interessante e gliene siamo grati. Una intervista non si è potuta realizzare, per ragioni che non spetta a noi valutare.

Abbiamo poi interpellato il noto e quotato giornalista e critico d’arte Dalmazio Ambrosioni, il quale ha accettato di discutere con noi dello spinoso tema.

Ambrosioni privilegia le ragioni del Masi, e le sue motivazioni sono indubbiamente plausibili. Noi siamo un po’ più sfumati e pensiamo che anche il Municipio non avesse poi tutti i torti. Non si può gridare a squarciagola e ai quattro venti “vogliamo i privati, i privati, i privati-iiii” – e poi…

Da questa breve ma spigolosa storia, alla fine, il Masi non è uscito benissimo. Perché? Perché non ha avuto il coraggio di dire apertamente*** di aver espresso – avendone titolo – un preavviso contrario alla mostra. “The man in the street” (per intenderci, uno come noi) non se lo immaginava affatto ed era indotto a elucubrare chissà che (croce, religione, islam).

Adesso leggiamo con cura quanto dice Dalmazio: la sua competente opinione. Se qualcuno vorrà replicare (o completare) sarà, come sempre, il benvenuto.

*** (addendum) neppure nel suo comunicato ufficiale del 17 aprile

* * *

Francesco De Maria   Nella nostra intervista parleremo di Lugano come città promotrice dell’arte, di ciò che è pubblico e di iniziative private. Per incominciare esaminiamo un caso vecchio di due mesi, che ha suscitato scalpore, anche se oggi sembra superato: la mostra all’aperto dello scultore albanese Xhixha con la famosa Croce piantata davanti alla chiesa degli Angioli, nelle adiacenze del LAC.  Come illustrerebbe il “caso”, sulla base di elementi accertati e pubblicamente noti?

Dalmazio Ambrosioni  Non vedo come in Svizzera, che ha la croce nella bandiera ed ha un intenso, a tratti tumultuoso rapporto con la religione, una croce davanti ad una chiesa possa infastidire. Infatti tutto è rientrato, anche sul piano delle discussioni. Devo dire che, a giudicare dall’atteggiamento dei turisti, forse attira attenzione sulla chiesa degli Angioli, che per suo se ne sta lì tranquilla, misurata, dignitosa con il suo straordinario contenuto di religiosità, di storia e d’arte.

La mostra poteva essere vista come un “regalo” che un privato amante dell’arte – la famiglia Braglia –  faceva alla Città, non le pare?

Già nelle intenzioni è nata così, come un regalo. Poi sappiamo che la Fondazione Anna e Gabriele Braglia ha una Collezione d’arte significativa, soprattutto ma non solo sull’Espressionismo, e che ha intenzione di rafforzare consistenza e presenza culturale a Lugano.

Secondo lei sulla mostra “Riflessi di luce” furono avanzate riserve – anche non in forma aperta ed ufficiale – da parte del Museo d’Arte?

È stato chiesto un parere preventivo ai direttori (del MASI e della Divisione Attività Culturali Servizio della Città di Lugano) e la risposta era stata negativa. Il Municipio ha deciso altrimenti.

Il Museo aveva titolo per formulare tali riserve?

Certamente. Nella storia di Lugano l’entità museale (poiché il concetto di Museo come lo intendiamo oggi risale agli ultimi tre decenni) ha sempre promosso e gestito l’arte in città. Sia attraverso acquisizioni e posa di opere in spazi pubblici, sia con mostre personali. Le mostre all’aperto di Botero e Mitoraj (2001 e 2002) erano state promosse dal Dicastero di Lugano per le attività culturali. È stato quindi ovvio e corretto chiedere il parere, poi autorevolmente espresso dalle persone di riconosciuta competenza internazionale di cui la Città ha saputo intelligentemente dotarsi quali Tobia Bezzola al MASI e Luigi Di Corato alla Divisione Cultura della Città.

Il motivo poteva essere una insufficiente qualità delle opere esposte?

Probabilmente anche. Ma penso che la ragione principale fosse una questione di coerenza, di continuità con la linea del MASI, volta a dare di Lugano un’immagine artistica di alto livello, come vediamo nelle mostre che si stanno susseguendo nelle varie sedi museali

Arte al LAC: Hodler, l’Eletto

Oppure un motivo di carattere religioso? La grande Croce di Xhixha poteva disturbare certi potenziali visitatori del LAC?

Lo escludo. La componente religiosa è essenziale nella storia anche di Lugano ed il Museo, inteso in senso ampio, ne tiene conto. Nel 2016, in occasione del Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco, dalla Collezione Olgiati nell’ambito del MASI è stata proposta una grande mostra intitolata precisamente “Sulla Croce”. Lo scopo era di “indagare la complessità e il mistero del simbolo universale della Croce nell’arte” con una focalizzazione sul  Cristianesimo, dove “ha assunto diverse raffigurazioni e significati: il Crocefisso, il Cristo, il Verbo, la Seconda Persona della Trinità”.

Oppure ancora ci troviamo di fronte al Privato che vuole “rubare la scena” all’Istituzionale e, così facendo, lo infastidisce?

A mio parere, il Museo sta dimostrando concretamente di ricercare e promuovere la collaborazione con i privati. Lo confermano le mostre, le acquisizioni ed anche l’atteggiamento di apertura. Il direttore Tobia Bezzola già al suo arrivo ha posto questa collaborazione in testa agli obiettivi del Museo, come ha dichiarato, anche nell’intervista pubblicata sul Giornale del Popolo nel marzo 2018: “Uno degli obiettivi – disse – è di essere un punto di riferimento sul territorio, lavorare con i collezionisti, ampliare e irrobustire contatti, creare know how”. Sa bene che i grandi musei sono il frutto di grandi collezioni nate sul territorio.

Mentre la polemica sui giornali e sui social si stava rapidamente incattivendo, il Municipio con una (saggia) mossa dalla sera alla mattina (dal 17 al 18 aprile) tagliava la testa al toro e comunicava dalle pagine del Corriere… che la Croce restava al suo posto sino al termine della mostra (22 settembre). Quali insegnamenti trarre da questa vicenda? Chi ha vinto, chi ha perso?

Credo sia stata una polemica inutile, inutilmente cavalcata dalla politica. Si è dissolta da sola.

Arte al LAC: Giacometti

Ora allarghiamo il discorso al rapporto tra pubblico e privato nella promozione degli eventi d’arte. È un punto cruciale, di cui continuamente si parla. Qual è a questo proposito la sua posizione di esperto?

Il rapporto pubblico-privato è essenziale, quindi deve rispondere a criteri precisi. Va normalizzato fissando regole precise, che devono valere per tutti e che tutti devono rispettare, anche la politica. Attualmente a Lugano non c’è questo regolamento e manca anche una Commissione ad hoc, come esiste da tempo nelle “città d’arte” della Svizzera. Le discussioni sorte in quest’occasione dimostrano quanto sia importante e urgente.

Al MASI può essere attribuita una sorta di “supervisione” sugli eventi cittadini (arte visiva)?

Supervisione forse non è il termine corretto. Certamente è il principale attore in materia d’arte. Non dimentichiamo quanto Lugano abbia investito in questa istituzione, che effettivamente sta producendo risultati importanti sul piano culturale ma anche economico, turistico ecc. È pensabile oggi una Lugano senza MASI, senza LAC? Oltretutto ha normalizzato i rapporti con il Cantone in materia di cultura artistica (ricordate i contrasti tra Museo comunale allora a Villa Malpensata e Museo cantonale?) e va interpretando sul piano della cultura il concetto di Svizzera Italiana, insomma di terza Svizzera nell’ambito federale. Il Museo è il principale attore in materia d’arte, e proprio per questo deve promuovere e sostanziare il dibattito sulla collaborazione pubblico-privato.

Che cosa accade in importanti città svizzere come Basilea o Zurigo, e altre?

In questi casi la collaborazione è storica e la Svizzera è all’avanguardia. A Basilea un consolidato rapporto pubblico-privato in materia d’arte esiste da secoli, almeno dal Seicento,  e così a Winterthur, San Gallo ecc. Questo conferma che la giovane Lugano ha ancora molta strada da percorrere, però ha ottimi esempi cui riferirsi.

Arte al LAC: Picasso

Quali sono gli eventi leader a Zurigo e come – con quale filosofia e modalità – l’Ente pubblico promuove la cultura in città?

Oltre ai musei, alcuni come il Kunsthaus con la sua impressionante collezione di arte moderna, e il Rietberg con la più grande collezione al mondo di arte extraeuropea, di prestigio mondiale, a Zurigo si incontrano circa 1.300 opere negli spazi pubblici. L’arte fa parte della vita di tutti i giorni: opere di Tinguely, Max Bill, Niki de Saint Phalle, dei Giacometti… Addirittura c’è un E-Bike Tour per visitare le opere d’arte pubbliche in bicicletta. Non solo le mostre e le collezioni sono di un livello assoluto, ma la popolazione e i turisti, il mondo del commercio e dell’economia  vengono coinvolti in svariate ed attrattive modalità.

Qual è il suo giudizio su Art Basel?

È un evento impressionante per qualità e quantità. È come un corso d’aggiornamento, un master in arte. Dà il senso della produzione artistica del nostro tempo e delle variazioni anche impercettibili sul fronte delle scelte e del collezionismo. È un’altra autorevolissima conferma che in Svizzera, anche nel campo della cultura, si deve puntare su un altissimo livello e riflettere su come raggiungerlo, anziché disperdersi in inutili e alla fine dannose polemiche.

Quali provvedimenti potrebbero accrescere l’attrattività di Lugano come “polo dell’arte”?

Più che gli eventi, che non mancano, è il livello di qualità che definisce una Città d’arte. Su questo non si può deflettere così come non si possono creare binari paralleli o intrecci non chiari. A mio parere la politica ha il compito, preciso, di creare le migliori condizioni possibili affinché la cultura artistica possa svilupparsi e manifestarsi. La politica cittadina deve creare le condizioni quadro entro cui le competenze di cui la Città si è dotata possano lavorare al meglio.

Il LAC, questa grande novità culturale della nostra città, è stato inaugurato nel settembre 2015. L’impostazione generale della sua attività è stata suo avviso valida? Sono stati commessi degli errori? Se sì, quali?

Non nascondo il mio scetticismo iniziale. Devo dire che i risultati superano e di parecchio le previsioni, grazie anche alle persone scelte a livello direttivo per  museo, musica, teatro ecc. Oltre che per l’organizzazione complessiva, pensando ad esempio a LAC Education. La città sta rispondendo bene, il LAC non solo ha ampliato geograficamente la città ma sta diventando un autentico polo culturale ed aggregativo. Quante famiglie, quante mamme con bambini lo frequentano anche al di fuori degli eventi ufficiali…

Le notevoli somme che Lugano spende per la cultura al LAC – mostre, teatro, concerti – le danno un “ritorno” adeguato? Che cosa dice agli inguaribili critici del LAC? Il capodicastero Cultura on. Badaracco ha detto che dovrebbero stare un po’ zitti…

Poche settimane fa è stato reso pubblico il rapporto di attività 2016-2018 nel quale una frase sintetizza la situazione. Eccola: “In termini numerici, includendo l’inaugurazione, sono oltre 250’000 le presenze medie annuali, pari a circa quattro volte la popolazione di Lugano, che di fatto affiancano il LAC a realtà di riferimento a livello svizzero come l’Opernhaus Zurich o il Kunstmuseum di Basilea. I risultati raccolti nel corso delle stagioni artistiche sono sostenuti da un rigoroso rispetto del budget assegnato”. Le critiche non mancheranno mai ed in una certa misura, quando non diventano polemica di parte, sono benvenute. In un contesto maturo, le critiche però non sono gli insulti (che pure, ahimè, non sono mancati), ma la capacità di valutazione e di nuova proposta.

* * *

Dalmazio Ambrosioni, giornalista e scrittore, si occupa di critica e storia dell’arte e della fotografia, è attivo nella promozione culturale. Ha studiato lettere all’Università Cattolica di Milano dove ha seguito corsi di analisi del linguaggio visivo con Gianfranco Bettetini. Ha iniziato e diretto per 15 anni l’inserto culturale del quotidiano Giornale del Popolo a Lugano. Ha diretto la rivista Il Lavoro diffusa in Svizzera e Italia. Autore di diverse pubblicazioni, lavora a saggi e monografie, cura esposizioni di artisti contemporanei e le Edizioni Arte e Comunicazione. È stato presidente dell’ASSI, Associazione degli scrittori della Svizzera Italiana. Vive a Porza, Canton Ticino, Svizzera. E mail: dambrosioni@bluewin.ch

Esclusiva di Ticinolive