A 8 mesi dall’atroce uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi, la fidanzata turca dell’uomo Hatice Cengiz ha chiesto a Berna di stabilire delle sanzioni nei confronti di Riad e ha sottolineato la necessità di un’indagine approfondita sul caso. Secondo lei la Svizzera insieme all’ONU potrebbero indurre l’Arabia Saudita a rendere conto in modo dettagliato del proprio coinvolgimento nell’omicidio.
Un recente rapporto delle Nazioni Unite redatto da un team di esperti guidati da Agnes Callamard ha fatto luce su prove credibili del coinvolgimento del principe ereditario Mohammed bin Salman in quello che viene definita un’esecuzione “deliberata e premeditata”. Secondo Cengiz si tratta di un documento prezioso che non può essere ignorato. La posizione elvetica tuttavia è delicata in quanto protettrice dell’Arabia Saudita come specificato dall’ambasciatore svizzero all’ONU Valentin Zellweger.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite le responsabilità individuali nell’omicidio rimangono “offuscate dalla segretezza e dalla mancanza di un giusto processo”. Per quanto impunita, l’Arabia Saudita rischia comunque di subire delle ripercussioni. Per esempio l’omicidio ha scatenato il dibattito mondiale sul divieto di vendita delle armi al paese. Alcuni stati europei, come la Norvegia, la Svezia, l’Austria e la Grecia hanno già smesso di esportare armi a seguito del coinvolgimento dl regno in una campagna di bombardamenti aerei nello Yemen e ora anche altri stati tra cui la Gran Bretagna potrebbero intraprendere la stessa strada, senz’altro dannosa per l’Arabia Saudita che rappresenta uno dei maggiori importatori di armi al mondo.

Sia l’ONU che le organizzazione per i diritti umani che gli analisti esterni hanno sottolineato come l’omicidio di Khashoggi rappresenti solo la punta dell’iceberg di un problema molto più esteso: la sistematica repressione dei dissidenti. Il New York Times aveva riferito a marzo che il principe ereditario bin Salman aveva autorizzato una campagna che prevedeva sorveglianza, rapimento, detenzione e tortura dei sauditi considerati nemici del governo. Una delle vittime della campagna è stata una docente universitaria che aveva riferito sulla situazione delle donne in Arabia Saudita, sarebbe stata torturata e spinta a tentare il suicidio.

Dopo simili conclusione un’indagine penale approfondita sembra essere d’obbligo ma esiste il timore che sotto l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti (che si sono già dimostrati più che indulgenti con Mohammed bin Salman) bloccheranno qualunque azione del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale delle azioni unite. Il cambiamento dell’approccio degli USA sarà necessario per l’avviamento delle indagini ha dichiarato l’ex diplomatico statunitense Matthew Bryza.