Avrei potuto ustionarmi sotto il sole di Ibiza o regalarmi ” il topless dei 38 anni ” ( cit ) in un’isola greca e invece ho scelto la fatica: il masochismo e il nichilismo che si fondono per concepire il Cammino di Santiago. Il nostro Cammino è stata una scelta d’impulso, quel: “Mi piacerebbe…” è diventato un: ” Facciamolo! “. Voglio dire, mi piacerebbe raggiungere la vetta dell’Everest, navigare nelle acque ostili di Cape Horn o mettere al mondo cinque figli, ma non mi sogno minimamente di farlo seriamente. Ecco, le stesse considerazioni si possono tranquillamente estendere anche al pellegrinaggio fino a Santiago di Compostela. E invece l’abbiamo fatto per davvero. Un volo aereo prenotato senza pensarci troppo, delle scarpe da trail running comprate in saldo e non usate a sufficienza e un abbigliamento improponibile che mi dava quell’aria naïf da gelato ai millegusti. Tre punti interrogativi in viaggio verso l’ignoto.
GIORNO 1: O’CEBREIRO – HOSPITAL  La salita di circa 5km che da Pedrafita porta all’Alto del Cebreiro ha fatto imprecare in magrebino mio figlio. Pioveva e faceva un freddo porco, nebbia ovunque, noi che camminavamo sul ciglio della strada, il bimbo che alternava epiteti, tipo: ” Snaturati! “, ” Vacanze demmerda ” e ” Ci manca solo che ci centrino ” non aiutava di certo a tener alto il morale. Nemmeno le auto che per incoraggiarlo suonavano il clacson riuscivano a ridimensionare il suo umore color pece; ma poi l’ha visto in tutta la sua imponenza: il cartello stradale che annuncia il Cammino di Santiago, itinerario culturale europeo. Il primo di tanti. Da lì in poi ha smesso di chiedere il taxi. Quella è stata la prima volta che ho pensato di farcela. Volevo arrivare a Santiago senza barare. Lo volevo fortemente. Siamo arrivati a O’Cebreiro per l’ora di pranzo e i prezzi della Galizia mi hanno scioccata: il menù del pellegrino ( un primo, un secondo, un dolce o un caffè ) costa 10 euro. Bibita ( anche alcolica ) inclusa. Dopo aver tarato il nostro fabbisogno energetico come l’esercito francese al ritorno dalla Russia, abbiamo comprato la concha del peregrino ( simbolo del Cammino ) e, seguendo i totem di sasso, ci siamo incamminati in un sentiero incantato che ci ha portati fino all’Alto del San Roque dove si può ammirare la statua del pellegrino falciato dal vento.
GIORNO 2 : HOSPITAL – SAMOS  Passando per Tricastela. Sono circa 26km e per una che usa l’automobile anche per fare 100 metri non è roba da poco. Sono arrivata a Samos con una vescica grande come un 5 franchi e due fiacche nell’incavo delle dita dei piedi, simpatiche come Barbara D’Urso. L’Albergue del Monastero è il posto più spartano dove ho dormito (e sì, è un covo di cimici) ma Samos è incantevole e merita una deviazione. Mio marito, che per inciso si spara maratone e ultratrail, ha iniziato a grattugiare i maroni poiché aveva male al tendine.
GIORNO 3: SAMOS – BARBADELO  Facciamo un pezzo di Cammino con Peter e suo papà, due olandesi. Il padre è partito da Saint Jean Pied de Port e il figlio l’ha raggiunto sul cammino, l’indomani sarebbe ripartito. Senza mai arrivare a Santiago. Dico loro che dell’Olanda ho visitato solo Amsterdam e Peter, con tanto di sorriso complice, mi fa: ” Beh, ovvio! “. Temo che l’abbigliamento improponibile, la faccia senza trucco e i capelli in stile stoppa di bassa lega mi diano l’aurea della cannaiola. Non ci penso e vado avanti per la mia strada.
Arrivati a Sarria mio marito, dopo essersi lamentato per cinque ore consecutive, si compra un paio di sandali da trekking e si trasforma, suo malgrado, in una crasi tra un tedesco e un frate del centro dei focolarini stanchi. Mi chiedo sinceramente come ci si possa innamorare sul Cammino. Arriviamo a Barbadelo nel tardo pomeriggio e alloggiamo in un albergo con piscina e camera privata. In quel momento, e in quelle condizioni, mi sembra il Principe Leopoldo. È incredibile come la frugalità ti faccia apprezzare ciò che fino a ieri davi per scontato.
GIORNO 4: BARBADELO – PORTOMARIN  Da qui il Cammino diventa molto più commerciale. Non cammini più da solo, è meno introspettivo e anche i prezzi salgono. Portomarin è deliziosa, ma io mi sono riempita di bubboni che manco durante la peste nera. Mi fiondo in farmacia e mi piglio un antistaminico. Proseguiamo a piedi per altri 10km e pernottiamo in un ostello delizioso. Durante la doccia scopro di essermi trasformata nella Pimpa. Panico. Panico. Panico. Rompo il cazzo a tutto l’albergue e mando un’intera sessione fotografica a mio cognato (medico). Risultato? Orticaria.
GIORNO 5: PORTOMARIN – MELIDE  Poco prima di arrivare a Palace del Rey incontriamo i due ragazzi norvegesi che hanno alloggiato con noi a Hospital e Samos, quelli mangiati vivi dalle cimici dei letti. Al nostro: ” Heyyyyyy, how are you? ” lei mima il gesto di grattarsi. Mi chiedo se ci siano viandanti che arrivano a Santiago incolumi. Ho i miei dubbi. A Palas del Rey noto che sono nuovamente impestata di bolle rosse così mi faccio un tour al Pronto Soccorso e scopro di essere allergica alla Napoletana che mi mangiavo per colazione. Maledetta! La cosa positiva è che gli ospedali in Galizia funzionano benissimo ( alla faccia dei miei inutili pregiudizi ) quella negativa è che abbiamo macinato km inutili. Da Palace del Rey a Melide tutti gli ostelli e gli agriturismi erano pieni, così, quel giorno, ci siamo sparati qualcosa come 36km e dal giorno seguente abbiamo iniziato a riservare.
GIORNO 6: MELIDE – POSTO SPERDUTO PRIMA DI O’PEDROUZO  Sono ufficialmente zoppa e ne ho pieni i maroni di camminare.  Mentre annaspo come una balena spiaggiata mi sfreccia da parte la russa strafiga e il piccolo sadico che ho messo al mondo mi fa: “Mamma, non offenderti, ma quella è molto più bella di te”. Come se non lo sapessi.
GIORNO 7: POSTO SPERDUTO – SANTIAGO DE COMPOSTELA  32km. Trentadue. A colazione incontriamo i norvegesi, lei si rivolge a mio figlio e gli dice che è il suo eroe. Mio figlio gongola. Facciamo gli ultimi km assieme a uno spagnolo. Non so se è più concio lui o io. Poco prima del Monte del Gozo si ferma un ciclista e mette a manetta “The Final Contdown” a mio figlio. Cantiamo a squarciagola. Arriviamo alla periferia di Santiago stremati. Il bambino non ce la fa più. Mio marito se lo carica in spalla e si fa così gli ultimi 4 km. La gente fa il tifo, in tutte le lingue del mondo ci dicono quanto manca. Non riesco più a trattenere le lacrime. Piango a dirotto. Vedo le guglie della cattedrale. Sento la corna a musa. Giro l’angolo ed eccola lì, in tutto in suo splendore: la Cattedrale di San Giacomo. Incontriamo Tiziana, Marisa e Fulvio. Gli abbracci dati a tutte le persone che abbiamo incontrato sul Cammino. La gioia di avercela fatta. Non mi sembra vero. Passiamo tre giorni a Santiago e lì conosciamo il mio eroe: un bimbo di 11 anni che ha camminato per 800km. Gli stringo la mano commossa. Quanti ricordi. Quanta nostalgia. Fatica e appagamento che si contrappongono. Introspezione, nell’accezione più pura del termine, ma anche in quella più dura. “Il cammino è la vita stessa, condensata in pochi giorni”.
Cindy Martinoni