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di Vittorio Volpi

In un saggio firmato da Nicholas Eberstadt su “Foreign Affairs”, è stato affrontato un tema cruciale al quale purtroppo non dedichiamo una sufficiente attenzione. È il tema “dell’inverno demografico”, una vera insidia per la Cina, ma in misura diversa anche per noi occidentali. Eberstadt nota che se le misure economiche e militari ricevono più attenzioni, pochi fattori influenzano la competizione a lungo termine tra grandi potenze come i cambiamenti nelle caratteristiche delle popolazioni nazionali.

Per quelli come la Cina con un tasso di fertilità per famiglia dell’1,18 il destino è chiaro: diminuendo la popolazione, naturalmente si riducono sia la forza lavoro che i consumi, mentre aumenta il peso degli anziani sulla società e la spesa sociale.

Secondo Wang Feng, uno studioso dell’University of California, si sostiene che ”in base alle nostre stime, nei prossimi decenni la spesa pubblica per le misure base di assistenza sociale, istruzione, assistenza sanitaria e pensioni, mangerà l’intero gettito fiscale”.

Se è vero che nel caso della Cina sono le famiglie che, per ora, in forza della tradizione culturale si occupa del 90%  degli anziani, è anche vero che in futuro aumenterà il numero dei non assistiti. Secondo Wang Zhincheng di Asia News, “nel paese non vi sono reti di sicurezza e la crisi evolverà in una catastrofe umanitaria”. Che cosa vuol dire in pratica un tasso di fertilità di 1,18 per famiglia? Significa che, in base agli studi OCSE, il tasso di rimpiazzo minimo per mantenere il livello della popolazione sarebbe di 2 figli per famiglia, ma purtroppo, per vari motivi, le indicazioni recenti ci dicono che le cose continuano a peggiorare. Nonostante la nuova legge “concessione” del 2016 abbia abolito la “one child policy” (legge del 1979 che proibiva di  fare più di un figlio) modificandola con quella del “doppio figlio”, anche la nuova politica non funziona.

In primis perché la percentuale delle donne è sbilanciata in difetto; grazie a vari rimedi, potendo fare un figlio solo, si sono privilegiati i maschi (il principino di famiglia). Inoltre, perché molte donne “non hanno più l’età” per fare figli. Hanno già superato il loro picco dell’orologio biologico. Insomma, non ci sono abbastanza donne per sostenere il livello di popolazione del paese. I dati demografici ci dicono in sostanza che mentre negli USA entro il 2040 la forza lavorativa crescerà del 10%, in Cina si prevedono entro 20 anni 100 milioni di lavoratori in meno..

Solo nel 2017, nell’età fra i 16 ed i 59 anni, c’è stato un calo di ben 5 milioni di lavoratori. Ed ancora, entro il 2050, 1/3 della popolazione cinese sarà sopra i 60 anni. Tutti dati indiscutibili e chiari. Sarà quindi vera la previsione che un cinese ha più probabilità di diventare vecchio che ricco? È  quanto si chiedono molti esperti di problemi cinesi.

Intanto però il cambiamento demografico è anche un business per alcuni, come per degli imprenditori australiani che stanno investendo in Cina. Tenendo conto che l’anno scorso il numero degli ultrasessantenni ha raggiunto la quota 250 milioni (che diventeranno 300 nel vicino 2025) ci  sono grandi opportunità di business. Il Financial Times ne dà conto proprio in questi giorni. Per questo  il governo cinese incoraggia il business della “elderly care” anche se è terreno di caccia per gli stranieri. La costruzione di centri, villaggi attrezzati e basati sulle esperienze collaudate occidentali è molto importante e bene adattabili ai cinesi anziani benestanti.

Insomma,  la demografia incalzante è un fenomeno inevitabile, ma surrettizio: non si vede ancora nei suoi problemi ed opportunità : ma è inevitabile.