Antonio dei Rossi, veneziano, classe ’64, artista del vetro, in particolare delle murrine contemporanee, torna ad esporre questa volta a  GLASSTRESS  esposizione collaterale alla Biennale, organizzata dalla Fondazione Berengo. La mostra, curata da Koen Vanmechelen, è stata inaugurata l’8 maggio e durerà fino al 24 novembre.

Antonio Dei Rossi

GLASSTRESS, nasce come progetto di Adriano Berengo con la missione di coniugare la tradizione vetraria muranese con l’arte contemporanea. Debutta nel 2009 come evento collaterale della Biennale di Venezia, GLASSTRESS rivitalizzando,così, la lavorazione del vetro soffiato forgiando nuove alleanze con artisti e designer di fama internazionale, volutamente scelti per la poca o nessuna precedente esperienza con il materiale. Il risultato di questo incontro sfugge agli stereotipi associati alla tradizione vetraria, ampliando i confini sia dell’arte contemporanea che del vetro. Proprio nel 2019 si celebrano i 10 anni di GLASSTRESS e i 30 anni di Berengo Studio. La mostra torna quindi alle sue radici storiche sull’isola di Murano, dove una vecchia fornace abbandonata è stata
trasformata in un suggestivo spazio espositivo per straordinarie nuove installazioni.

Gli artisti che espongono sono esponenti internazionali dell’arte (non solo vetraria) e l’artista dei Rossi – tra i pochissimi italiani e tra l’altro unico veneziano (tra i nuovi artisti) – è presente con un’opera emblematica nonché unica:  un’istallazione di murrine.

“è la prima volta nella storia del vetro” spiega Dei Rossi “che la murrina viene usata non come elemento decorativo ma comunicativo inerito in multipli in contesto di istallazione presentato come opera d’arte moderna. Un’assoluta novità”, continua  “per l’utilizzo della tecnica e contesto dove è stata inserita.”

BUG di Antonio dei Rossi

L’opera” spiega Dei Rossi  “intitolata BUG, è singolare per la tecnica usata ma anche per il forte contenuto concettuale toccando temi forti.”  “BUG” continua  “è la risposta ad un percorso che sto affrontando nell’oltrepassare il limite che la storia dell’Arte vetraria e gli artisti/artigiani, che si sono interessati all’arte della murrina, s’erano prefissati. Il processo artistico/artigianale si è sempre basato sul virtuosismo tecnico per poter riproporre un’immagine miniaturizzata in vetro, finalizzando il lavoro all’ottenere un dischetto vitreo con un ritratto o un’immagine fruibile per collezionismo o per utilizzo decorativo. Infatti notevole importanza ebbe la gioielleria veneziana e l’oggettistica che verso la fine del 1800 e inizio 1900 racchiudevano le piccole miniature muranesi. La murrina figurativa,dalla sua nascita, verso la metà del 1800 è sempre stata e un’arte, per la difficoltà tecnica, molto apprezzata ma difficilmente praticata. Gli esponenti che hanno segnato le tappe della storia della murrina si possono contare sulle dita di una mano: Giacomo Franchini e Luigi Moretti per la produzione ottocentesca, Giovanni Barovier nel primo novecento e Mario dei Rossi, mio padre, dalla fine degli anni ’80 al 2015.” quindi, con opportuno orgoglio, può annunciare: “Ora sono io ufficialmente, già inserito nelle ultime pubblicazioni della storia della murrina e nella collezione storica del Museo Vetrario di Murano a portare avanti la tradizione veneziana della murrina figurativa.” E racconta: “La differenza sostanziale tra i miei predecessori è che loro, tutti abili maestri dell’arte vetraria, sono riuscito a personalizzare e modificare la tecnica in base alle loro conoscenze e specificità professionali: io unico “non vetraio” ho acquisito la tecnica, in tutte le sue fasi operative arrivando ad un livello tecnico alto pago dell’esperienza e della partenza dai traguardi paterni. Anch’io, infatti, nella mia produzione, che inizia nel 1999, dopo aver acquisito la tecnica sono riuscito a portare la mia esperienza professionale e formativa che dista dagli altri perché non è artigianale ma culturale. 

Il mio fine quindi, oltre a produrre un oggetto unico, è quello di utilizzare il prodotto nell’applicazione di progetti di design che spaziano, citandone dalla tradizione l’uso decorativo, dal gioiello all’oggetto d’arredo (con una concezione progettuale contemporanea e concettuale) e inoltre utilizzare la murrina come medium del “fare” artistico. Sfruttare ciò che è intrinseco nella tecnica, unica e particolare, per una operazione artistica concettuale. La riduzione dell’immagine, i multipli ottenuti dalla canna che possono essere considerati come prodotti unici simili (poiché la deformazione naturale nella lavorazione e le infinite varianti dettate dal caso producono opere differenti tra loro), la sezione di una forma cilindrica, i diversi stati della materia nella lavorazione, ma anche la composizione certosina, sono tutti elementi che scaturiscono l’uso della tecnica per un diverso linguaggio espressivo. La murrina viene usata per grandi proiezioni facendola diventare filtro luminoso, diapositiva che svela un processo tecnico “faticoso” (tra i diversi stati della materia) e che proiettata su un pannello fluttuante ridà vita al soggetto (in questo caso una medusa); La murrina della braciola viene presentata in quattro “fette” ma anche con una porzione della canna prendendo il titolo di lombata; la murrina della formica presentata in mucchio irregolare di 60 pezzi diventa il “formicaio”. Poi BUG l’opera presentata a Glasstress che volutamente voleva essere provocatoria e forte dal punto di vista emozionale, visto anche il contesto espositivo. Per l’opera determinata dalla serialità della tecnica vengono sfruttate le deformazioni del disegno per evidenziare la deformità ma anche la normalità del soggetto, un feto non maturo che viene gettato in una vaschetta reniforme usata in chirurgia. La finitura della murrina non risulta conclusa tecnicamente riportando scheggiature e fessurazioni, sottolineando (materialmente e idealmente) la mancata conclusione di un processo e la radiazione dell’errore: BUG appunto. BUG significa anche virus, la una duplice lettura dell’opera è che l’uomo è il virus (di se stesso). La vaschetta in acciaio fredda, asettica contiene dieci fette di murrine di spessori e dimensioni leggermente diverse, tagliate grossolanamente alle quali è stato aggiunto un liquido vischioso, un
residuo organico (che altro non è che olio di glicerina) che coinvolge emotivamente l’osservatore. L’espressione artistica e concettuale convive con un percorso di ricerca tecnica e illustrativa che si può notare nelle ultime opere bicolore dove la soluzione al tratto dell’immagine è una ricerca interpretativa personale e, comunque, innovativa.”

a cura di C. Fantuzzi