L’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, è stato eletto ieri leader del partito conservatore vincendo in maniera schiacciante con oltre 92 mila voti dei membri del partito contro i circa 47 mila ottenuti dal suo rivale Jeremy Hunt. Sostituirà Theresa May dopo che la regina gli conferirà l’incarico ufficiale di primo ministro. Lo diventa in un momento di grande crisi politica e con un peso politico minore di qualsiasi  leader precedente. Il partito conservatore detiene una scarsa maggioranza in Parlamento, ma Johnson è amato dai Tories etnici che sono determinati a lasciare l’Unione europea.

Sarà a capo del governo in un momento in cui il Regno Unito affronta anche la crisi con l’Iran per il sequestro della petroliera battente bandiera inglese che potrebbe trascinarlo in una resa dei conti con Teheran più difficile da gestire rispetto a quella già complicata tra Stati Uniti e gli stessi iraniani.

Nel suo discorso dopo la vittoria, Johnson ha promesso di unire il paese, sconfiggere il leader dell’opposizione di governo Jeremy Corbyn, ma soprattutto ha sottolineato la sua determinazione a rispettare l’uscita dall’Eurozona entro il prossimo 31 ottobre anche a costo di farla senza nessun accordo. Ma con il suo partito fratturato e demoralizzato dopo tre anni passati sotto la direzione di Theresa May e con una maggioranza sottile alla Camera dei Comuni, avrà bisogno del sostegno di gran parte dei suoi colleghi che dovranno essere convinti della Brexit nonostante le profonde divisioni dentro i partiti e tra i partiti.

La vera partita Brexit non è con l’Unione europea ma contro i separatisti interni. La necessità di salvare il Regno Unito dai secessionismi è all’origine del referendum voluto dalle dominanti élite inglesi.

La prospettiva di un governo guidato da Johnson ha già diffuso un certo allarme, anche negli alti ranghi del suo partito. La scorsa settimana, diversi parlamentari conservatori hanno votato insieme all’opposizione per bloccare gli sforzi di Johnson di aggirare il Parlamento nel suo tentativo di una Brexit senza accordo. Il ministro delle Finanze Philip Hammond, e il segretario dello sviluppo internazionale, Rory Stewart, hanno annunciato che lasceranno il governo dopo la sua nomina a primo ministro. Il ministro degli Esteri, Alan Duncan, si è dimesso lunedì e il ministro della Giustizia, David Gauke, ha dichiarato che presenterà le sue dimissioni se verrà perseguita una Brexit senza accordo.

L’opposizione è convinta che la promessa di uscire dall’Unione europea non potrà essere mantenuta. La Brexit senza accordo è sicuramente un disastro economico per il paese. Le analisi del ministero del Tesoro inglese hanno previsto un forte rallentamento della crescita economica e alti costi dovuti alla perdita di scambi. Una bella sfida dunque per il primo ministro. Nessuno crede che Boris Johnson, persona ampiamente non rispettata dalla Commissione Europea, sarà in grado di ottenere un accordo migliore rispetto a quello di Theresa May dopo due anni di lunghe trattative.

La sua popolarità si basa su appelli emotivi, ma si scontrerà con la realtà che ha minato gli sforzi dell’ex premier May. L’Unione europea non consentirà il ripristino di una frontiera tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, uno dei passaggi più complicati e criticati nell’ultimo accordo trovato tra il governo inglese di Theresa May e i negoziatori europei, bocciato a larghissima maggioranza dal Parlamento inglese. E il Parlamento si oppone ancora ad un divorzio senza accordo. I conservatori in questo caso non hanno la maggioranza e anche una piccola ribellione di alcuni membri contrari potrebbe portare a nuove elezioni.

Alcuni parlamentari conservatori contrari all’uscita senza accordo, stanno prendendo in considerazione una richiesta formale da sottoporre alla regina perché cerchi una proroga a Bruxelles. Più che necessaria, un’altra proroga sarà obbligatoria.