di Paolo Camillo Minotti

immagine Wiki commons (Emanuele Spies)

Da mesi, anzi per l’esattezza da almeno 3 anni (da quando cioè i cittadini britannici hanno votato per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE) o da ancora prima – perché già nel corso della campagna referendaria del 2016 i media di tutta Europa cominciarono a diffondere prognosi infauste per il Regno Unito nel caso avessero prevalso i «brexiteer» -, siamo sottoposti a una informazione giornalistica faziosamente anti-Brexit. A questa tendenza stranamente si adeguano anche i settori politici di quei Paesi UE che sono molto critici con l’attuale gestione dell’Unione (e questo può forse essere spiegato con ragioni di opportunità e di interesse) e persino i media svizzeri (ciò che a prima vista è invece molto sorprendente e del tutto paradossale). A prima vista paradossale, perché in effetti la cosa purtroppo non sorprende affatto. Nel mondo giornalistico svizzero prevale un faunario conformista e «servo del potere» che fa sÌ che pressoché tutti siano «schienati» fautori dell’avvicinamento all’UE, perché questa è la posizione del Consiglio Federale e degli ambienti economici che vanno per la maggiore e di cui i giornali sono tributari. E anche nel giudizio sull’UE in quanto tale, il servilismo dei nostri media è spaventoso: la tesi dei vari Juncker, Merkel & Co. su non importa cosa (euro, politica monetaria della BCE, gestione delle politiche migratorie, atteggiamento UE preso qualche anno fa nei confronti della crisi ucraino-russa e che perdura tuttora, ecc.) sono prese a priori come oro colato e come manifestazione di saggezza e come pegno di stabilità. Critica o monito a un po’ di autocritica vis-à-vis dei potenti della UE? Neanche a pensarci : il motto che i giornalisti servili seguono è sempre lo stesso, che in fondo in fondo corrisponde al memorabile motto mussoliniano delle «10 milioni di baionette», della forza del numero e del numero come forza. Chi è più forte ha ragione, perbacco, e quindi bisogna leccargli i piedi: questo è il condensato del pensiero dei vari Lino Terlizzi, Ferruccio De Bortoli e compagnia cantante. Peccato per loro che la Storia è piena di esempi che mostrano come colui che sembrava (sulla carta) il potente invincibile del momento, sia poi finito nella sconfitta disonorevole e nella discarica dei ferrivecchi della storia.

immagne Wiki commons (Rlevente)

Ma torniamo alla Brexit: tutti i commentatori quasi all’unissono concordano sul fatto che a perderci dalla Brexit sarà soprattutto la Gran Bretagna, a cui spetta a loro dire un destino ineluttabile di decadenza economica e di isolamento politico. Nell’ottica dei critici della Brexit (prendiamone uno a mo’ di esempio: il giornalista Caprarica, uno di quelli che come il prezzemolo è sempre presente in tutti i talk-show televisivi delle più disparate reti), i cittadini britannici «brexiteer» sono pressappoco equiparabili a quanto erano gli eretici nel tardo Medioevo agli occhi della Chiesa (gli Albigesi e i cavalieri templari all’inizio del Trecento, gli Hussiti boemi nel Quattrocento, ecc.): dei ribelli all’autorità civile ed ecclesiastica e dei bestemmiatori della vera dottrina di Dio che come tali meritavano solo la morte senza pietà. Oggi non si teorizza più per fortuna la messa a morte dei critici e degli avversari, ma li si mette comunque volentieri a tacere privandoli delle principali tribune per esprimersi, mentre che i servili opinionisti loro avversari li sommergono di improperi e di sentenze sprezzanti. ll più grande flagello delle nostre democrazie occidentali è il fatto che si è venuto instaurando nei mass-media un pensiero unico e servile, che uccide la libera dialettica delle opinioni e che ha imposto un pensiero conformista indegno di una democrazia liberale e che cerca di plasmare una massa informe di sudditi.

Ma veniamo al contenuto degli anatemi e delle infauste prognosi degli anti-brexiteer: sono forse delle prognosi fondate? Niente affatto: sono solo esternazioni di menagrami e di frustrati. Tanto più frustrati per il fatto che essi da qualche anno cominciano a dover constatare di «non indovinarle più», insomma di essere smentiti dagli avvenimenti. Avevano dipinto Trump come un pericoloso pagliaccio e data per certa la vittoria di Hillary Clinton, mentre gli elettori americani hanno deciso diversamente. Ancora prima avevano dato per scontata la vittoria dei fautori del «Remain» nel referendum sulla Brexit, e invece i cittadini di Sua Maestà se ne sono infischiati delle lezioni calategli dagli pseudo-intellettuali che li consideravano ignoranti. Poi è venuta (e fino a 5 o 10 anni fa poteva apparire inconcepibile) la svolta nella politica italiana, dapprima con la vittoria dei 5 Stelle e poi (ancora più incredibile) con la dirompente scalata della Lega, che dalla sua roccaforte padana è dilagata nel Centro e Sud dell’Italia, lasciando interdetti i commentatori di regime.

Per ora la piazza economica e finanziaria britannica, che avrebbe dovuto crollare e riportare la Britannia nei «secoli bui» di Re Artù o addirittura ai tempi precedenti la conquista romana, quando gli abitanti delle isole britanniche vivevano solo di pastorizia e di pesca, non è crollata e continua a dar lavoro oltre ai Britannici pure a migliaia di espatriati francesi in fuga dalle fallimentari politiche socialiste e centraliste dei vari governi succedutisi a Parigi, a decine di migliaia di giovani diplomati italiani (in specie del Meridione ma non solo) in fuga dalla disoccupazione e dalla deprimente mancanza di prospettive del Bel Paese, e poi ancora a decine di migliaia di cittadini polacchi, eccetera eccetera.

I problemi dell’industria automobilistica tedesca….
Ma i saccenti opinionisti obiettano : la Brexit finora di fatto non è ancora avvenuta, percui i brexiteer prima di cantare vittoria dovrebbero aspettare il momento in cui la separazione dall’UE farà sentire i suoi effetti dolorosi, che non mancheranno, mentre che gli effetti negativi per la UE ci saranno ma saranno trascurabili. Veramente così trascurabili? Prendiamo l’esempio della Germania, locomotiva industriale dell’UE e che poi a sua volta fa lavorare con il suo indotto anche numerose industrie italiane, ceche, polacche, ecc. che sono sue fornitrici: la perdita, o comunque il ridimensionarsi del mercato inglese per molti prodotti tedeschi (per es. l’auto ma non è il solo), sarebbe proprio così trascurabile per l’industria tedesca? Niente affatto, e difatti molti industriali e esimi economisti germanici sono preoccupati della Brexit e avevano consigliato invano alla Merkel e a Juncker di essere meno rigidi con Londra nelle trattative sulla Brexit, sostenendo anche che pragmaticamente valesse la pena fare qualche concessione supplementare al Regno Unito, pur di evitare una rottura senza accordo che potrebbe fare del male alle esportazioni tedesche. Se Volkswagen, BMW e Mercedes esporteranno 50’000 o 100’000 mila macchine in meno nella GB, chi sarà a dover leccarsi le ferite? Gli operai tedeschi e dell’indotto anche in altri paesi europei, non certo gli acquirenti britannici che se del caso (anziché acquistare la Volkswagen o la BMW che magari con un «Hard Brexit» saranno gravate con un supplemento di prezzo del 10 o del 20 percento) hanno a disposizione un’offerta di auto giapponesi e coreane altrettanto performanti e forse più a buon mercato delle auto europee! La perdita per l’industria automobilistica tedesca rischia di essere dura, tanto più che arriva in un periodo di stagnazione delle vendite e di sovrapproduzione automobilistica a livello globale.

…e quelli dell’agricoltura polacca e italiana
Stesso discorso per i prodotti agricoli: per esempio se i prodotti agricoli polacchi (o francesi o italiani, questi ultimi hanno già sofferto molto dalle sanzioni contro la Russia….) diventeranno più cari in Inghilterra e quindi se ne venderanno di meno, chi ci perderà di più: gli inglesi o i polacchi ? Secondo me ci perderà di più l’agricoltura polacca e UE in generale, perché la Gran Bretagna ha a disposizione se del caso altri fornitori (Australia, Canada, Nuova Zelanda, Marocco, ecc.) che, a seconda dei prodotti, potranno sovvenire senza problemi al fabbisogno delle Isole britanniche, a prezzi complessivamente non superiori a quelli dell’agricoltura UE, anzi in qualche caso anche inferiori. Qualche piccolo problema si porrà semmai solo per qualche singolo prodotto agricolo, in specie di alta qualità (e mi piange il cuore per i produttori di qualità italiani e francesi che dovranno pagare lo scotto per l’avventatezza dei vari Juncker, Macron, ecc. fautori dell’intransigenza vis-à-vis di Londra!), che se gravato di un dazio supplementare non sarà più alla portata di una fascia di cittadini britannici di reddito medio o basso….

Va poi da sè che, se il nuovo premier Boris Johnson non è uno sprovveduto, uno dei primi atti che intraprenderà sarà di intavolare trattative per trattati di libero scambio con una serie di Paesi amici un tempo facenti parte del Commonwealth (come il Canada e l’Australia) e anche altri (GIappone, ecc.), al fine di compensare o ammortizzare gli eventuali parziali effetti negativi dell’uscita dall’UE. E questo sia per i prodotti agricoli che per quelli industriali.

La Svizzera è uno dei potenziali interlocutori del Regno Unito in questo senso; e anzi va detto che – anche qui vale l’annotazione: se il nostro Governo non è un manipolo di sprovveduti – la Svizzera farebbe bene a farsi avanti prima di tutto nel proprio interesse. Infatti, essendo anche noi sotto pressione dell’UE, dovremmo cominciare a tutelarsi e a incentivare relazioni parzialmente alternative (o comunque complementari) a quelle con i Paesi UE.

È in vista una «guerra» della pesca?
Abbiamo parlato di auto e di prodotti agricoli. E la pesca ? Come noto la pesca è stato un tema centrale nel dibattito sulla Brexit nel 2016 in Gran Bretagna. Si può dire che la quasi totalità dei pescatori (anche in Scozia dove nei centri urbani ha vinto il « remain »….) ha votato per la Brexit, perché i mari delle isole britanniche – che sono i più pescosi d’Europa – da quando vige il mercato unico sono saccheggiati da pescherecci francesi, italiani, spagnoli, olandesi. Se ci fosse la Hard Brexit (Brexit senza accordo) i pescatori britannici brinderanno quindi alla grande, perché si riapproprieranno dei loro mari !

Ma se i pescatori britannici rideranno, non rideranno di certo quelli degli altri paesi europei con dotazioni di grandi pescherecci. Prendiamo per esempio quelli francesi: immaginate che il 31 ottobre avverrà la Brexit (e che, vista la risposta data da Juncker al nuovo premier britannico Boris Johnson, probabilmente sarà una «No deal- Brexit»): sicuramente i pescatori francesi non saranno contenti, perchè il Governo britannico in tal caso sarà costretto per compiacere i pescatori britannici a limitare l’accesso alle acque inglesi ai pescherecci UE, compresi quelli francesi (della Vandea, della Bretagna, della Normandia, del Pas-de-Calais). E secondo voi costoro contro chi manifesteranno il loro malumore? Non certo contro Boris Johnson, che non conoscono nemmeno, ma piuttosto contro Macron che è il loro presidente e che ai loro occhi sarà colui che gli avrà procurato la sciagura. Se pensiamo alla virulenza che possono assumere le proteste di piazza in Francia (ancora prima dei «gilets jaunes», qualche anno fa vi furono epiche manifestazioni di piazza di agricoltori e di autotrasportatori, alle quali il Governo regolarmente cedette), se fossi Macron non starei molto allegro….Se vuole essere certo di arrivare a Natale a mangiare il panettone, Macron dovrebbe quindi stare cauto nel festeggiare e nel fare esternazioni da gradasso, perché non è ancora detta l’ultima parola. Sarà anche riuscito a piazzare l’avvocatessa Christine Lagarde (che peraltro fu già ministra di Chirac e di Sarkozy) alla direzione della Banca centrale europea, ma questo non dice ancora nulla sull’esito finale (a medio termine) dei suoi intrighi europei e del suo atteggiamento vendicativo contro i Britannici. Non è ancora possibile sapere chi piangerà per primo e chi invece riderà per ultimo. Per il presidente che si crede Napoleone (così come per la sua sodale Angela Merkel, detta Ippopotamo del Meclemburgo) arrischiano di esserci ancora tempi difficili da superare.
Paolo Camillo Minotti