di Tito Tettamanti

Una, la signora von der Leyen, oggi presidente della Commissione europea, l’ho conosciuta. Era relatrice ad un incontro da me presieduto e ho avuto modo di colloquiare ampiamente e scambiare opinioni. Indubbiamente di vivace intelligenza, pronta nei riflessi e abile nelle risposte, determinata nelle sue tesi ma capace di ascoltare e aperta al confronto. Ottime premesse per il suo non facile incarico. Se poi avrà successo il tempo ce lo dirà non dimenticando le difficoltà di un’UE in crisi e disunita.

immagine Wiki commons (Parlamento europeo)

Di Christine Lagarde impressiona il curriculum. Ministro delle finanze in Francia, presidente del Fondo monetario internazionale, rieletta – credo all’unanimità – per il secondo periodo. Ma ancora di più mi impressiona quanto ha fatto prima. Giurista francese (quindi straniera) e donna (a quei tempi) è arrivata ad essere il capo di uno studio di centinaia di avvocati americani presente in tutto il mondo. Conosco per esperienza la durezza degli americani e per frequentazione l’ancor più spregiudicata durezza dei loro litigiosi avvocati, e concludo con ammirazione che la Lagarde è una tosta.

Immagine Wiki commons, WEF Davos

Tutto bene quindi? No, no perché la nomina è stata un’azione da manuale del potere tecnocratico avente quale regista il tecnocratico presidente Macron. Si può comprendere che nell’UE manchi quella reale capacità di mediazione che è nei nostri costumi svizzeri, il rispetto anche per nazioni o regioni meno importanti ma delle quali si dovrebbe tener conto, una reale considerazione per i più piccoli che non si esprime solo con sussidi. Un minimo di riguardo e sensibilità in ogni modo non guasterebbe.

Con il suo gioco di pedine a Macron è riuscito di piazzare una germanica alla testa della Commissione, senza tener conto che l’esponente di un Paese meno egemonico e incombente, anche per le dimensioni della sua economia, e meno criticato per i vantaggi conseguenti all’euro, sarebbe sicuramente stato espressione di maggior equilibrio e (forse) minor arroganza. Ma non solo: nominando una presidente germanica ha ottenuto le dimissioni del potentissimo segretario della Commissione Martin Selmayr pure germanico (anima nera a sostegno di Juncker e poco amico della Svizzera) che dovrebbe venir sostituito (guarda, guarda) dal francese Olivier Guersent, importante figura tra gli eurocrati. Una nuova presidente, che gli dovrebbe gratitudine, dato che lui ne è stato il proponente, nuova agli affari europei ed agli intrighi di Bruxelles, controllata da un segretario generale francese con esperienza da eurocrate.

Macron non può che esser soddisfatto, anche perché contemporaneamente ha vinto la prova di forza con il Parlamento europeo. Quest’ultimo, per dare una parvenza di democraticità all’elezione del presidente della Commissione, pretendeva (come nel passato per Juncker) che l’eletta o l’eletto venissero scelti tra i capilista dei partiti più votati nelle elezioni europee. Richiesta avversata da Macron, non certo amico dei partiti tradizionali e che personalmente è a capo in Francia di un movimento incentrato sulla sua persona (usanza che si sta diffondendo in Europa) e che ritiene che la scelta del presidente competa ai capi Stato dell’UE. Il Parlamento si dovrebbe limitare sostanzialmente alla ratifica della scelta. Così è avvenuto in una votazione risicata nella quale si sono visti i socialisti dividersi, i popolari non essere compatti, i rappresentanti del partito di governo polacco votare a favore, come pure i 5 Stelle italiani con i loro 14 deputati che affermano che la signora von der Leyen deve a loro la sua nomina.

Per la carica affidata a Christine Lagarde il discorso è più preoccupante. Tutti gli Stati con un minimo di serietà affidano la conduzione della loro banca centrale a esperti della finanza, accademici, specialisti di teorie monetarie, persone che grazie alla loro competenza scientifica in materia e autorevolezza danno garanzia di indipendenza nei confronti del mondo politico. Ora, in virtù dei giochi di potere del tecnocrate Macron, avremo alla testa di una delle più importanti banche centrali al mondo, la Banca centrale europea, un’abile, intelligente donna ma una politica di formazione giuridica e non economico-finanziaria e ovviamente francese.

Due principi vengono contemporaneamente disattesi, quello della competenza specifica in materia monetaria e quello dell’indipendenza nei confronti del potere politico. Due qualità che aveva Draghi, certamente non facile da sostituire, ma che gli hanno conferito l’autorità per prendere, perché obbligato, gravide decisioni anche politiche in piena indipendenza di giudizio in assenza di capacità decisionale da parte degli Stati dell’UE.

Tutto ciò dimostra quanto sia giustificata la diffidenza nei confronti del gigantismo mondialista che non permette altra gestione, anche per le dimensioni, che quella tecnocratica che è all’origine del sentimento di esclusione per molti cittadini, quel male oscuro che mina la nostra società e alimenta la pericolosa spaccatura con le élite.

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