di Vittorio Volpi

Lee Kwan Yew, il fondatore di Singapore (9 agosto 1965) che si separò dalla Malesia, fu tra i pochi a prevedere il fenomeno Cina.

Foto Wiki commons (Robert D. Ward)

Dal sottosviluppo ad una posizione di preminenza mondiale, da colonia britannica dal 1948 all’indipendenza, da “underdog” (paese povero) al ruolo di potenza planetaria, il leader, di origini cinesi, anticipò la sua intuizione già dai primi incontri con Deng Xiao Ping.

A Lee, che aveva incontrato anche il leader rosso Mao Tse-tung, nell’incontro con Deng (lo ha lasciato scritto) il nuovo erede di Mao disse: “se avessi solo Shanghai (voi a Singapore siete una piccola città stato) sarei anch’io in grado di cambiarla velocemente, ma io ho tutta la Cina..”

Lee replicò che il lavoro di Deng era in realtà più facile del suo: “io ho dovuto sobbarcarmi il peso di educare cinesi discendenti ed analfabeti del Guangdong e Fujiam, mentre voi siete ritenuti gli intellettuali, i mandarini le cui progenie sono rimaste in Cina. Per questo, aggiunse Lee, non c’è nulla di ciò che abbiamo fatto a Singapore che la Cina non possa fare meglio”. Era il 12 Agosto 1978: Mao Tse-tung, il grande timoniere, era morto da due anni. Nelle sue riflessioni Lee ricorda che Deng rimase silenzioso, ma si rese conto che aveva raccolto la sfida. I fatti dei decenni successivi lo hanno dimostrato.

Interessante ricordare che il mitico Lee Kwan Yew, che ha conosciuto i 5 leaders cinesi, pur essendo cinese e fondatore di una città stato  cinese (Singapore), pur ammirando la Cina ed i suoi progressi, rimase sempre vicino a Washington e governò a lungo con il pugno di ferro.

Ha sempre difeso la strategia di Pechino, contraria alle pressioni di “democratizzare”, come successo in Russia dopo il crollo del muro.

Lee conosceva bene la situazione e la cultura cinese, straordinaria per dimensione e complessità che il governo di Pechino doveva affrontare. E perciò, cosciente che non si dovevano commettere gli errori di Mosca anteponendo la demolizione dello stato alle riforme economiche, sostenne il modello cinese di economia socialista di mercato o di economia di mercato alla cinese.

In questo senso Lee diede un “assist” importante, anche con il suo esempio di governo forte, autocratico, guidando però l’economia con criteri occidentali. Sosteneva il concetto dei “valori asiatici” contro la teoria di Fukuyama (valori democratici ed economia di mercato) suggerendo quindi ai cinesi l’adozione di un modello che apparentemente sembra un ossimoro; socialismo e capitalismo sotto lo stesso cappello, ma politicamente il leader di Singapore tenne allo stesso tempo le distanze da Pechino per evitare di entrare nella sua sfera di influenza.

I risultati del suo lavoro sono oggi evidenti. Il reddito pro capite del 1959 era di 1240 dollari. Nel ’90 era salito a 18’437 (ormai da paese sviluppato) ed oggi in termini PPA, addirittura di 90’570 (dati 2017).

È si vero che si tratta di un piccolo paese di 5.6 milioni di abitanti, ma è innegabile che Singapore sia diventato un paese modello di come si fanno le cose. In pochi decenni è diventato un centro finanziario mondiale primario e lo sarà anche per i problemi di Hong Kong di cui ha scritto nelle sue memorie pubblicate nel 2013: “c’è un grosso gap fra quello che i cittadini di Hong Kong desiderano e le aspettative dei leaders cinesi”.

Le sue previsioni così come furono impeccabili ed ascoltate a Pechino per il miracolo cinese (centinaia di milioni di persone tolte dalle paludi della povertà), sembrerebbero avverarsi a 28 anni dalla fine del “one country, two systems”, quando Hong Kong ritornerà alla Cina senza “two systems”. Deve essere chiaro che Hong Kong non diventerà Cina alla fine dei 50 anni: è già Cina, ma con un’autonomia speciale.

Lee ci ha lasciato in eredità un pensiero profondo sulla Cina: fenomeni come il miracolo cinese non sono novità. La novità è la dimensione colossale del fenomeno, mai sperimentato dalla storia. Ci ha invitati perciò a studiare a fondo il caso Cina per evitare sorprese.

Dalle sue memorie si possono riassumere 5 pensieri che forse possono essere utili:

  • La Cina gioca (giocherà) una partita di lungo periodo. Ha tutto, con calma, per essere il numero uno.
  • La Cina non cercherà uno scontro frontale con gli USA. Perché dovrebbe nel breve termine?
  • Userà il “soft power”, principalmente il commercio, per influenzare i paesi vicini (BRI docet)
  • Continuerà a far crescere i suoi talenti per emergere. Si deve sapere che ben 350 mila cinesi studiano negli USA…
  • Per competere nella High Tech, dovrà superare gli ostacoli intrinseci della sua cultura (la lingua difficile), limitata capacità di integrare talenti stranieri

Nonostante la sua diffidenza verso Pechino, basata sulla sua conoscenza, Lee Kwan Yew, scomparso nel 2015, è uno dei leader più rispettati in Cina ed ha insegnato ad anticipare i trend con lo studio e la conoscenza.