Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo, in memoria della strage di 39 anni fa.

Foto Wiki commons (Briguglia, Pulga, Pedrini, Vaccari)

Ogni volta che accade una strage, un delitto, una violenza, i mass media si scatenano alla ricerca del colpevole, affinché sia punito, non tanto per accontentare la vittima, ma per rispondere alla rabbia (o curiosità) dei lettori. Rabbia che porta molti a reclamare giustizia, e la famosa “pena certa”. Nessuno vuole sapere perché un essere umano arriva a commettere un delitto. La gente preferisce scaricare la propria rabbia, dovuta a una vita insoddisfacente, appassionandosi alla ricerca del colpevole. Insomma scoprire il colpevole serve a non pensare. Proprio come fa chi ingurgita alcol o fuma spinelli.

Ma scoprire il colpevole senza l’intenzione di conoscere la causa del comportamento criminoso è la stessa cosa che fanno quei medici che curano i sintomi senza indagare la causa della malattia. E non a caso le malattie crescono e dilagano per la gioia degli operatori economici del settore sanitario.

Non volere ricercare la causa significa far finta di risolvere il problema. Immaginate un genitore che di fronte alla marachella di un figlio per punizione lo chiudesse in una gabbia. Proprio come fa lo Stato quando acciuffa il colpevole. Ma se il male dilaga nonostante che le prigioni siano piene. Significa che nessuno si occupa di indagare le cause per rimuoverle.

Non proprio nessuno, qualcuno in questa società vede le radici del male, che nascono dalla paura e dalla repressione dei propri bisogni, che a loro volta generano una vita insoddisfacente. E questo qualcuno ama perché tutti hanno bisogno di essere amati, sia quelli che danno la caccia al ladro sia il ladro stesso.

Ma cos’è l’amore? E perché rimuove le radici del male? Ne parlerò un’altra volta.

Paolo Mario Buttiglieri, sociologo