Il presidente statunitense Donald Trump sta valutando seriamente quello che viene chiamato un affare essenzialmente immobiliare: ovvero il tentativo di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca. L’isola più grande del mondo che si trova nell’estremo nord dell’Oceano Atlantico che dal punto di vista politico rappresenta una nazione autonoma di appartenenza al Regno della Danimarca.

Oggi in Groenlandia vivono poco più di 56 mila persone che dipendono dal governo danese per gli affari esteri e per la sicurezza nazionale. Considerata importante non solo per la sua strategica posizione geografica ma anche per le sue potenziali risorse naturali, tra cui metalli delle terre rare, petrolio e gas. Inoltre l’isola è diventata molto più vivibile e sfruttabile con oltre 2 milioni di chilometri quadrati di terra, a causa del cambiamento climatico.

Il primo ministro groenlandese Kim Kielsen, dopo la conferma avuta dal consigliere economico di Trump, Larry Kudlow, ha fatto sapere che solo l’idea della vendita della Groenlandia, accolta a livello internazionale con leggerezza mista a indignazione, è assurda. “La Groenlandia non è in vendita, ecco dove finisce la conversazione”, ha detto Kielsen.

I groenlandesi hanno espresso disappunto cercando di dare un senso alla bizzarra notizia: “Non si può semplicemente comprare un’isola o un popolo. Sembra qualcosa dell’era della schiavitù e del potere coloniale”, hanno espresso alcuni cittadini.

Il tentativo americano di acquistare la Groenlandia fa parte di importanti piani strategici. Un piano di espansione rafforzato in chiave anti Cina e anti Russia  che rispetto agli Stati Uniti sono molto più avanti nell’espansione della zona artica. Soprattutto la Cina, sede della società Shenghe Resources Holdings, azioanista di maggioranza di Greenland Minerals, colosso australiano attivo nell’estrazione di terre rare che gia adesso, e ancora di più in futuro, sono fondamentali in molteplici tecnologie come i motori elettrici e i sistema di guida dei missili. Il dominio cinese sull’industria si potrebbe concretizzare con le minacce di imporre restrizioni alle esportazioni di materiali delle terre rare negli Stati Uniti, mossa che paralizzerebbe l’industria globale. Un tema caldo dunque nella disputa commerciale in corso tra USA e Cina.

La Danimarca è membro della NATO, organizzazione più volte criticata dal presidente degli Stati Uniti in quanto ritiene che le nazioni che ne fanno parte non paghino abbastanza per il privilegio di aderire al fianco del potente esercito americano. Le forze americane operano da decenni nella base aerea di Thule posta nel settentrione della Groenlandia, un’enclave amministrativa statunitense gestita dalla United States Air Force che fa parte di una rete globale di radar e sensori per avvisi missilistici oltre alla sorveglianza spaziale.

Dopo la seconda guerra mondiale, il presidente Truman aveva già compreso l’importanza strategica bellica della Groenlandia, offrendo alla Danimarca 100 milioni di dollari, ma la proposta fu rifiutata. Ora Trump vuole cercare di recuperare il tempo perso nella corsa delle nuove terre artiche.

Le navi rompighiaccio, che sono appositamente studiate per navigare in mare con la superficie ricoperta di ghiaccio, vengono considerate una unità di misura nella guerra dell’artico: gli stati Uniti hanno due rompighiacci assegnati alla Guardia costiera, la Cina ne ha sei e la Russia ha una flotta con oltre quaranta unità, di cui sei a propulsione nucleare.

Il primo ministro danese di centro sinistra, Mette Frederiksen, ha dichiarato: “Spero davvero che non sia qualcosa che s’intende seriamente. Abbiamo una buona cooperazione con gli Stati Uniti. Vediamo questa notizia come un’espressione di maggior interesse per gli investimenti nel nostro paese e le possibilità che possiamo offrire. Certo la Groenlandia non è in vendita”.