di Vittorio Volpi

Che succederà a Hong Kong? (titolo originale)

Contrariamente alle aspettative di molti analisti politici, la situazione di Hong Kong, si sta invece aggravando. Anche domenica intorno a Victoria Park si sono assembrati oltre 1,7 milioni di cittadini per continuare a protestare contro il l governo fantoccio del territorio diretto da Carrie Lam, eletta a suo tempo su indirizzo del regime a Pechino.

foto Pixabay

Se vogliamo vedere la situazione da un angolo di breve periodo, la spiegazione della rivolta che continua da mesi ormai, e’ molto semplice. La signora Lam aveva proposto di approvare una legge che consentiva per certi reati – ovviamente principalmente di natura politica – di estradare i “colpevoli” in Cina per essere cola’ processati.

Cosa ci sarebbe di straordinario ci si può domandare? In fondo Hong Kong a seguito del ritorno alla Cina in accordo con il Regno Unito nel 1997, non è più colonia britannica ma parte integrante della Repubblica Popolare Cinese In realtà, per comprendere, bisogna fare un passo indietro. Il problema viene da lontano e per ben comprenderlo bisognerebbe ritornare indietro al 1984. In quel periodo, le negoziazioni fra la Signora Thatcher (allora primo ministro Britannico) e Deng Xiao-ping

Il grande timoniere a quel tempo leader cinese – disegnarono un modello particolare che si defini “Un paese, due sistemi”. Per cinquant’anni dal 1997 – data della reversione – la bandiera cinese avrebbe sventolato sulla ex colonia britannica, ma con un caveat, in cambio di una autonomia per la durata di 50 anni. Ciò avrebbe consentito a Hong Kong di continuare ad essere una porta di entrata straordinaria per il mondo esterno verso la Cina incluso essere – di per sé – un centro finanziario internazionale di grande dimensione.

Deng, sosteneva con la leader inglese, che lo stile di vita e di operare di Hong Kong, sarebbe continuato ad esistere. Operando in piena libertà di mercato e del capitalismo. “Al momento della fine dell’autonomia, anche noi in Cina saremo ormai allineati con il capitalismo liberale; e quindi l’integrazione sarà largamente simbolica.”

In particolare in quel momento Deng stava cambiando, dopo la scomparsa di Mao, radicalmente il paese : “arricchirsi è onorevole” sosteneva, e quindi prefigurava una Cina allineata all’Occidente. Purtroppo le cose cambiarono radicalmente dopo la repressione di Tiananmen; l’eccessiva apertura a democrazia e liberalismo stava portando il paese fuori controllo. La narrativa quindi cambiò.

La sterzata di Deng, ha cambiato le cose. Ma ancora di più sono cambiate con l’ascesa al potere di Xi Jin Ping ( nel 2011) : il quale ha assunto una posizione molto più autoritaria – possiamo dire totalitaria – del suo stile di leadership. E per lui, Hong Kong con il suo capitalismo libero, è un ostacolo verso il suo programma di “grande ringiovanimento”.

Nelle circostanze, a Pechino non è gradito il problema ormai visibile in tutto il mondo, di “ribellione della regione autonoma”. Hong Kong ribelle ha troppe conseguenze nefaste per la Cina. E potrebbe giustificare una mossa radicale e violenta; ad esempio , scatenando l’esercito già ammassato nel Sud a Shenzen, a pochi chilometri dal problema, da aggiungere ai 6.000/10.000 soldati già di riserva a Hong Kong (e ai 30 mila poliziotti) avrebbe l’effetto desiderato ma andrebbe incontro a sanzioni internazionali pesanti e incoraggerebbe investitori e capitali ad andarsene velocemente. Sarebbe un decadimento grave di uno dei maggiori poli finanziari del mondo dove si rifinanziano abbondantemente anche le aziende di Pechino. La grancassa del Partito già accusa la protesta di essere violenta (occupa aeroporti e blocca le infrastrutture) e anche sostiene che c’è la “mano occidentale” a sobillare e finanziare la sommossa.

Secondo molti analisti, l’ago della bilancia indicherebbe già più del 50 per cento la probabilità di una repressione cinese. Altri sostengono invece – molto più ottimisti – che con qualche accordo contentino le cose si calmeranno. Altri ancora, al contrario, affermano che prima o poi con l’arresto – già si parla di 700/800 leaders –l a protesta perderà vigore. I protestanti rischiano peraltro fino a 10 anni di reclusione: quindi quelli già in galera sono fuorigioco.

Che accadrà è quindi per ora un rebus: quello che è certo che Hong Kong è a rischio di perdere la sua eredità di “porta per la Cina” e centro finanziario mondiale.