L’autore si aggancia all’ultimo articolo di Tito Tettamanti (CdT). Volpi concorda con TT: “Il proclama dei 180 è aria fritta!”

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Manifestazione anti-capitalista a Londra. Wiki commons (Jonny White)

Ho trovato molto interessante come al solito il commento di Tito Tettamanti (saggio e competente) “Stati Uniti, il proclama dei 180” e sottoscrivo in pieno l’ipocrisia di dirigenti di grandi imprese americane che sono responsabili/corresponsabili di una lettura radicale di Milton Friedman (1962 – “Capitalismo e Libertà”) che ha indirizzato il modello di gestione delle imprese verso il mantra: nell’impresa il CEO ed il Senior Management devono servire solo gli azionisti/investitori garantendo loro dividendi e crescita. Nessun altro obbligo.

Tale modello è stato seguito in genere senza riserve nella business community americana contagiando in parte anche gli imprenditori europei ed asiatici. È solo con la crisi del 2008 che si è iniziato a mettere in discussione tale “vangelo” che ha consentito, bisogna dirlo, una crescita delle imprese americane superiore a quelle europee. Ci si è accorti, finalmente, che chi aveva più approfittato della situazione, dandosi stipendi e stock options incredibili (ed eticamente inaccettabili) erano proprio i grandi managers (cicero pro domo sua).

A questo proposito, interessante leggere l’articolo pubblicato sul Financial Times dell’8 settembre, un saggio di Gillian Tett (una delle più talentuose scrittrici del quotidiano): “Capitalism: a new down”.

Inter alia, la Tett sostiene che i bonus o remunerazioni del management americano, nel 1978 avevano un livello massimo di 29,7 rispetto al salario medio, nel frattempo sono schizzati fino a 345,9 volte. Il fenomeno è meno vistoso in Europa per confronto, ma comunque in parecchi casi sono a livelli inaccettabili anche da noi.

Caso a parte è il Giappone, dove la “company” ha un significato e conseguenze molto diverse (leggere il classico di Jim Abegglen “Kalsha”).

Quando si parla di “mercato”, all’origine del concetto poniamo sempre Adam Smith (la ricchezza delle Nazioni), ma di Smith spesso si dimentica di leggere la “Teoria dei sentimenti morali” che avverte della necessità di aggiungere alla “mano visibile” quella “invisibile”, cioè la mano dello Stato che possa ribilanciare le aberrazioni, soprattutto sociali che si possono ingenerare.

Il “libero mercato”, se radicale e non accompagnato da una politica sociale fa correre il rischio di mettere in crisi il capitalismo. Provare per credere: negli Stati Uniti, dove il Friedmanismo è stato più sfrenato, ha creato una situazione di disagio, in particolar modo fra i giovani.

Sondaggi fatti nel 2017 fra le nuove generazioni, i cosiddetti “millennials”, indicano che ben il 44% di loro preferirebbe una “economia socialista” rispetto all’attuale capitalismo. A questo proposito, al momento è molto in voga uno scritto del sociologo Daniel Bell “Modello Cina”. Il saggio è di valore perché Bell, professore di sociologia, ha passato 20 anni della sua vita in Cina, dove insegna. Egli sostiene che i nostri sistemi politici sono ormai inadatti a guidare paesi ed economie moderne (vedere quello italiano attuale) perché non consentono più ai cittadini di sentirsi partecipi, oppressi da maggioranza che comunque non “sentono”.

La “tirannia” dei votanti e la mancanza di “meritocrazia” nella scelta dei rappresentanti politici lascia allo sbando il mercato ed il capitalismo. Contribuisce a ciò il fatto, dice Bell, che la maggioranza dei cittadini è ignorante e disinteressata.

Bell raccomanda di guardare alla Cina che adotta più meritocrazia nella scelta dei politici. Personalmente sono molto cauto sulla possibilità di modelli che sono in uso in culture diverse.

Quando chiesero a Indro Montanelli quale fosse la sua opinione se in Italia ci fosse stata una Thatcher, rispose: “certo che potremmo fare la rivoluzione Thatcheriana in Italia. Ci vorrebbero due cose: una Thatcher e l’Inghilterra”.

In sostanza le culture sono difficilmente esportabili, anche se si possono sempre estrapolare delle idee, dei suggerimenti. Non c’è dubbio che “il  proclama dei 180” sia aria fritta, anche se solleva dei problemi che vanno considerati, ma la sola soluzione è la “mano visibile” che ha bisogno di “meritocrazia politica” per regolare il mercato.

Facile da dire, ma di “mezzo c’è il mare…”

Vittorio Volpi