La critica del professor Vivaldi-Forti è (come sempre) veemente, la sua indignazione sana e reattiva.

I giudizi circa lo “strappo” di Matteo Salvini divergono. 

Alcuni pensano che abbia commesso una bestialità, buttando via tutto e mettendosi alla mercè dei suoi nemici (così pensiamo noi).

Altri lo vedono come un eroe, innamorato del popolo e sprezzante del compromesso.

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Foto Presidenza della Repubblica, Wiki commons

Nel precedente intervento ero stato facile profeta. La fase che si è aperta con la fiducia al governo di Fronte Popolare presieduto dal voltagabbana “Giuseppi “ Conte, mercenario al servizio di tutte le bandiere, con l’appoggio della stalinista Laura Boldrini, è l’esatto equivalente del Ministero Husak ,seguito a quello “dimissionato” di Alexander Dubcek, dopo l’invasione di Praga. Qualche benpensante farà rilevare che Roma non è stata occupata da eserciti stranieri, ma ciò non significa assolutamente nulla. La storia, infatti, pur nella sua vichiana ciclicità non si ripete mai in modo identico: le analogie vanno cercate nella sostanza e non nella forma. Spieghiamoci meglio.

L’odierna Unione Europea è l’equivalente del vecchio Patto di Varsavia, e l’esistenza di un Parlamento continentale nominalmente eletto sulla base di pluralità di liste non deve trarre in inganno. Chi comanda davvero, ossia la cupola mafiosa planetaria rappresentata dalle grandi multinazionali, dalle banche, dai cosiddetti mercati finanziari e dalle agenzie di rating, non ha bisogno alcuno, a differenza dei russi nel 1968, di fare ricorso alle armi per ottenere obbedienza dei popoli soggetti. Essa, infatti, da tempo si è comprata la fedeltà di partiti e governi di tutti i principali Stati europei, attraverso un’ abile alternanza di ricatti, prebende e mazzette. Con i mass media a lei asserviti, inoltre, esercita una pressione indebita e costante sull’opinione pubblica, terrorizzando gli elettori a colpi di spread, mantenendo le Borse in perenne affanno, in modo da minacciare l’isolamento e la miseria per tutti quei Paesi che non dovessero piegarsi al suo dispotismo. Il vergognoso e piratesco trattamento usato verso la piccola Grecia, peggiore dell’invasione di Praga, insegna! Quanti morti innocenti ha sulla coscienza la UE ad Atene e dintorni? Certo, non sotto i cingoli dei panzer, ma togliendo le pensioni ai vecchi , impedendo ai giovani di trovare lavoro, distruggendo migliaia di famiglie espropriate della casa, il loro legittimo focolare domestico!

Le analogie con Praga non finiscono qui. Quel tale individuo, di cui preferisco non pronunciare il nome per non sporcarmi le labbra, che a Bruxelles affermò che i mercati avrebbero insegnato agli italiani a votare, in cosa si distingue da Gromiko e Kossighin, quando ordinarono la chiusura del Parlamento cecoslovacco, perché i rappresentanti di quel popolo avrebbero danneggiato i comuni interessi dell’alleanza guidata da Mosca? E l’entusiasmo con cui i membri del presente Esecutivo sono stati accolti in Belgio, fra baci, abbracci, sorrisi e pacche sulle spalle, non equivale ai festeggiamenti tributati da Breznev ai compagni praghesi che si erano finalmente pentiti dei loro errori e avevano abiurato alle loro eresie? “Bravi figlioli, ora sì che avete rimesso la testa a posto!”, sussurrarono i satrapi del Cremlino nelle orecchie dei loro ospiti forzati, esattamente come hanno fatto quelli di Bruxelles nel ricevere i neo-ministri italiani.

La specularità fra le due situazioni ci permette di avanzare previsioni e proposte per l’indispensabile lotta di liberazione. In Cecoslovacchia, come qualche anziano ricorda di sicuro, alcuni anni dopo l’invasione nacque un movimento denominato “Carta 77” , al quale aderirono intellettuali, operai, sindacalisti, comuni cittadini e perfino, sia pure riservatamente, molti uomini dello stesso apparato di repressione che però, da veri patrioti, non si erano mai rassegnati alla svendita del Paese da parte dei traditori del partito comunista. Lo strumento di lotta, per loro, fu il richiamo agli accordi di Helsinki del 1975, sottoscritti dalla stessa Unione Sovietica, che prevedevano la libertà di pensiero, di movimento , di stampa e di religione per tutti gli Stati firmatari. Ebbene, il grande schieramento dissidente, che produsse personalità di altissimo valore, non inferiori a Dostoievski e a Tolstoj ( bastano i riferimenti a Milan Kundera e a Vaclav Havel ?) , cavalcò l’impeto dei diritti umani negati, e nel loro nome riuscì, sia pure in tempi medio-lunghi, a scardinare il sistema e a far crollare l’impero bolscevico, che invece la maggioranza dava allora per vincente, salvo pochissimi diversi pensanti, fra i quali il sottoscritto, che aveva previsto il crollo del Patto di Varsavia nel romanzo fantapolitico La corona di San Venceslao, pubblicato con 15 anni d’anticipo rispetto agli eventi.

Oggi la storia ha caricato noi italiani di una enorme responsabilità: quella, come popolo maggiormente colpito dalla tirannia del denaro e del malaffare, d’intraprendere una durissima battaglia, che sarà senza esclusione di colpi, per la liberazione del Paese, la quale , ove fosse vinta, costituirebbe un esempio per tutti gli europei desiderosi di disfarsi dell’oppressione di questi farabutti. Lo scopo, peraltro, non deve essere distruggere l’Europa come realtà spirituale, culturale e anche economica, ma trasformarla radicalmente da contenitore d’interessi illeciti in una grande casa comune, il cui scopo non sia più arricchire i mafiosi, bensì salvare i valori, la spiritualità e la tradizione dell’Occidente.
Occorre quindi individuare uno strumento di lotta altrettanto potente e condiviso , simile a quello che causò l’implosione dell’impero sovietico. Se allora fu la dura e costante rivendicazione dei diritti umani, oggi dovrebbe essere la pressante richiesta del passaggio da una democrazia rappresentativa a una democrazia partecipativa, in virtù della quale la sovranità torni al popolo che lavora e produce, sottraendola a una partitocrazia corrotta e venduta alla mafia. Su tali aspetti, determinanti per il nostro futuro, è necessario avviare con estrema urgenza una riflessione pubblica allargata, ma non simile a quella dei carbonari di una volta, perché è fin troppo facile smantellare i gruppi e le associazioni segrete accusandoli di sovversione, bensì coram populo, in convegni aperti a tutti , alla stampa, ad amici e avversari. Questa è la sola strategia vincente per

Carlo Vivaldi-Forti