Approfitto dell’occasione per segnalare un evento importante.

Quando? Lunedì 23 settembre
A che ora? Alle 18
Dove? All’USI, aula A11, Palazzo rosso
Che cosa? Dibattito sul clima, dal titolo “il dibattito che non c’è”
Relatori? Ferruccio Ferroni e Marco Gaia
Chi introdurrà? Paolo Pamini
Chi commenterà gli interventi? Tito Tettamanti
Chi farà le domande scomode? Generoso Chiaradonna e Alfonso Tuor

Vorrei annunciare la presenza di Greta Thunberg ma non posso, perché direi una bugia. Non verrà. Raccomandazione finale: nessuno manchi!

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immagine pixabay. Sullo sfondo il Vesuvio

LABORATORIO ITALIA  Il termine ricorrente dei nostri giorni quando si parla di politica o di società è: crisi. In particolare preoccupa la crisi dei partiti social-democratici e quelli di ispirazione cristiana sostenuti da parte della borghesia. Hanno il merito di aver contribuito in modo determinante a reintrodurre la democrazia in Europa nel dopoguerra, si sono alternati al governo, poi, a seguito della perdita di consensi, riuniti in governi di coalizione che rappresentavano vaste maggioranze. Non è più il caso: oggi sono minoritari nell’elettorato. Sono sorti per contro movimenti anche di diverso indirizzo ma accomunati nelle proposte e nell’atteggiamento anti-establishment. Fenomeno che in modo più o meno virulento concerne tutti i Paesi europei. In Italia addirittura i due movimenti di protesta rappresentano il 50% o più dei votanti. Da un lato i Cinque Stelle, organizzati in modo inusuale per raccogliere con propositi clientelistici la protesta, specie del Sud, caratterizzati da atteggiamenti simil-peronisti.

Dall’altro, la Lega che raccoglie consensi nella piccola borghesia, nell’imprenditoria, specie del Nord, infastidita dalla pervasività della burocrazia centrale e dal peso delle tasse. L’esperimento è terminato dopo un anno e mezzo e non ha dato certo risultati strabilianti. Per un giudizio equilibrato va però ammesso che le due forze non dispongono ancora di una classe dirigente nazionale esperimentata, anche se quella leghista si è affermata a livello delle amministrazioni locali e regionali, ma impreparata e sicuramente meno interessata ai problemi della politica internazionale e dei suoi riflessi sull’Italia. Non si muovono ancora con sicurezza nei tortuosi corridoi dei palazzi della politica/burocrazia di Roma.

Un tempo la classe politica si basava sui notabili, gente che, pur con i loro difetti e errori, si era acquisita una posizione nella società per la via dell’esperienza professionale e sociale che aveva dato loro autorevolezza. La cultura, se non garanzia di capacità politiche, era perlomeno una difesa contro le illusioni dell’ignoranza. Oggi le carriere sono più improvvisate.

I due movimenti non hanno avuto il tempo per formare un ceto dirigente esperto e competente. Le battute di un comico come pure gli entusiasmi da comizio possono senz’altro essere utili, far capire temi politici in modo più semplice (ma non per questo necessariamente errato) ma non bastano per gestire un Paese. Purtroppo, e spiegherò il perché di questa mia opinione, l’esperimento si è interrotto in malo modo. Siamo tornati a giudizi e contrapposizioni superati e stantii e pertanto inutili. Per gli uni si è sconfitto il fascismo per gli altri i comunisti sono tornati al potere. I dibattiti sono intrisi di acredine, quando non di contumelie, non vi sono avversari: solo nemici spudoratamente in mala fede.

Mi domando, visto che lo sviluppo della politica non si misura sui tempi corti, se non sarebbe stato più opportuno che l’esperimento si fosse esteso su un tempo maggiore al fine di poter dare un giudizio (anche più severo o magari definitivo), e parimenti concedere ai due movimenti la possibilità di sviluppare l’esperienza della loro classe dirigente. Non solo, ma il tempo avrebbe permesso anche ai due gruppi storici, quello della sinistra (delle sinistre) e quello dei moderati di centro-destra, di riorganizzarsi, di trovare espressioni e progettualità nuove per le esigenze di una realtà sociale sicuramente diversa. Tempo per riflettere con le élite del Paese sugli errori che hanno portato ad una protesta che non si può ignorare. L’impressione è che ci si arrocchi sul passato, ci si difenda con la demonizzazione di nuove pur discutibili forme di partecipazione politica, ignorando esistenti sentimenti identitari, senza aprire un colloquio con la protesta anche se spesso malamente rappresentata, oltretutto ricorrendo talvolta a contro-atteggiamenti di ostracismo puramente clientelistici.

I principi della politica vanno difesi con senso di realismo e capacità di convinzione. La democrazia rappresentativa è in crisi mentre non lo è quella diretta in vigore da noi in Svizzera. Forse una maggior regionalizzazione negli Stati ed una maggior partecipazione diretta potrebbero essere una strada da studiare per combattere il sentimento di esclusione. Peccato, il laboratorio Italia non ha permesso, al di là delle reazioni delle tifoserie, di accumulare preziose esperienze, utili anche alle altre nazioni, per affrontare il grave problema di una protesta non priva di ragioni e con la quale dobbiamo ancora fare i conti.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata