Il 1° ottobre del 1949, 70 anni fa, un Mao Tse-tung al settimo cielo annunciava, sulla piazza. Tienanmen la nascita della Repubblica Popolare Cinese: una nazione finalmente libera ed unificata. Alle sue spalle il simbolo del passato feudatario: “la città proibita” epigono di un mondo ancestrale e feudale finalmente passato alla storia.

Immagine Wiki commons (Guimard)

“il popolo cinese si è rialzato”, urlò Mao, “abbiamo sconfitto il governo reazionario del Kuomintang (KTM) sostenuto dagli imperialisti americani”.

L’entusiasmo di Mao ne aveva ben donde. Aveva portato alla vittoria l’armata rossa nella guerra civile cinese; contro un nemico ben più potente e numeroso di forze ( e supportato dall’America) oltre ad aver resistito all’invasore giapponese (1937-1945).

I giapponesi durante la loro violenta ed inumana aggressione, avevano devastato, impoverito e massacrato la Cina. Basti ricordare gli eccidi come quello di Nanchino che i cinesi non perdoneranno mai al Sol Levante.

L’armata di Mao, dovendo ripiegare a Nord, aveva resistito a gravi perdite e sconfitte patite per mano dell’esercito nazionalista con una manovra che i posteri sempre ricorderanno come “la lunga marcia”. Ben 370 giorni di ritirate per sfuggire alla soverchiante superiorità dell’esercito nazionalista, un territorio lungo ben 12 mila km, dallo Jangxi allo Shaanxi.

Il suo controverso avversario, Chiang Kai-shek, dopo la sconfitta finale era fuggito con 600 mila soldati a Taiwan, ex colonia giapponese. In pratica portando con sé quello che era rimasto della Marina e dell’Aviazione nazionalista e con la “cassa”, cioè i soldi dello Stato; unitamente ad un patrimonio di arte cinese senza precedenti. Si stimano 300 mila pezzi che, considerando la quantità, ruotano ogni 6 mesi. Per vederli tutti bisognerebbe trascorrere 12 anni nel Museo di Taipei.

La proclamazione della Repubblica Popolare Cinese era un epilogo felice di un retaggio storico tristissimo. A cominciare dal colonialismo pesante occidentale, in primis degli inglesi che scipparono Hong Kong ”grazie ad un “accordo” per 150 anni; poi con i “trattati” iniqui, per non parlare della guerra dell’oppio, delle occupazioni territoriali, della rivolta dei Boxer e via dicendo. La lista è lunga…

La sconfitta militare con il Giappone, siglata con il trattato di Shimonoseki nel 1895 aveva dato alla Cina il colpo di grazia. Le richieste ingiuste i per danni di riparazione di guerra avevano messo in ginocchio le finanze della Cina per decenni.

Mao, sul podio con suoi compagni nella marcia, e dirigenti del Partito Comunista che guidava, con un colpo di spugna in quel giorno di 70 anni fa, azzerò quasi tutto il passato.

Gli rimanevano però alcuni conti da saldare. Hong Kong, poi risolto dal suo successore Deng Xiaoping, il Grande Timoniere con la formula “un paese, due sistemi”. Oggi purtroppo l’accordo e’ ritornato in auge a causa delle manifestazioni popolari che conosciamo.

Poi Macao, il cui ritorno dal Portogallo alla Cina sembra essere riuscito senza problemi.

Il nodo più rognoso rimaneva – e purtroppo rimane – quello di Taiwan (Repubblica di Cina) dove il suo avversario storico si era rifugiato nel ‘49 con armi e bagagli sotto la protezione delle “stelle e strisce”. Si trattava di Chiang Kai-shek, ironicamente soprannominato dal presidente americano Truman “cash my check” (incassa il mio assegno) per le ricchezze (aiuti USA) distratte a meri fini personali.

Fino al 1970 Taiwan (Repubblica di Cina) fu riconosciuta anche alle Nazioni Unite come “l’altra Cina”, rimanendo quindi per Mao (deceduto nel 1976) una spina dolorosa nel fianco, fonte anche di guerriglie reciproche e di inimicizia assoluta.

Oggi Taiwan è riconosciuta solo da 15 paesi, incluso lo Stato del Vaticano, ed intrattiene rapporti passabili con la Cina. Molti gli investimenti taiwanesi in Cina, nel continente, magari mediati via Hong Kong. E distensione a tratti.

Sorprendentemente però, il partito del Kuomintang a Taiwan, il vecchio nemico, è attualmente all’opposizione; il KMT sarebbe ora propenso a ritornare Taiwan alla Cina in cambio di “un paese, due sistemi”: in pratica un’autonomia speciale. Ma il partito che è al governo con il Presidente Tsai Ing-wen, visto l’andazzo ad Hong Kong, non è favorevole a questo riavvicinamento.

Le elezioni previste a Gennaio ci diranno.

Certo ciò che sta accadendo a Hong Kong non è positivo. Da anni Xi Jinping predica sul caso Taiwan, l’unico tema incompiuto per la sua chiusura col passato, di rimanere fermi sulle “intenzioni originali”: “Taiwan deve ritornare cinese”.

L’ostacolo è quello degli USA che si sono schierati da sempre alla protezione dell’indipendenza di Taiwan. Senza tale remora, la Repubblica di Cina sarebbe un facile “game, set, match per Pechino ”. Sebbene Taiwan sia armata fino ai denti, sarebbe un solo boccone per Pechino.

Detto ciò, quel giorno di 70 anni fa, Mao Tse-tung diede vita a un nuovo paese; sovrano, forte, potente ed enorme. La seconda economia del mondo (ben presto la prima); una nazione libera, spesso criticata, ma rispettata e temuta.

Gloria alla Cina dunque e buon anniversario.

Vittorio Volpi