di Friedrich Magnani

L’economia tedesca, è entrata ufficialmente in recessione, nel secondo quadrimestre di quest’anno, con il prodotto interno lordo, in negativo, di uno 0,2 per cento. Il dato, è dell’Ufficio Federale di Statistica. La crescita, tuttavia, rimane positiva su base annuale, con una stima del pil per il 2019, a un  più 0,5. La causa di questa frenata, iniziata nel 2018, con le incertezze dell’economia globale, legate alla guerra dei dazi, è individuabile nella crisi del settore automobilistico, che in Germania, assorbe, assieme all’indotto, il 36% del prodotto interno lordo. Oltre a ciò, la quota del pil, destinata all’export, supera ampiamente il 40 per cento, contro il 31 per cento dell’Italia. Se si pensa, che la Volkswagen, ottiene quasi la metà dei suoi profitti dalla Cina, il più grande mercato automobilistico mondiale e che la domanda cinese di auto è crollata del 17 per cento, su base annuale, secondo quanto riferito dalla CAAM (China Association of Automobile Manufacturers), il conto è presto fatto.

La Bundesbank. Wiki commons (Thomas Kroemer)

Ma non è stata solo colpa dei dazi. Il vento di Greta, pare essere arrivato anche in Cina.  L’implementazione di norme più restrittive sulle emissioni, ha costretto anche le case automobilistiche cinesi a rivedere i piani industriali e a convertirsi all’elettrico. E qui, si giocherà un’altra guerra, quella delle batterie. Chi comanderà il loro business, dominerà l’industria automobilistica. La Cina è attualmente, il maggior fornitore di batterie elettriche, del settore auto. La cinese CATL (Contemporary Amperex Technology Ltd), uno dei maggiori produttori mondiali di batterie, ha deciso di costruire in Germania, ad Arnstadt (ex DDR), la sua prima fabbrica europea, con un investimento di due milardi di dollari. Per contro, l’Europa non è rimasta a guardare. La compagnia petrolifera francese Total, avrebbe stretto un alleanza con le aziende tedesche Siemens e Manz, per lo sviluppo e la produzione di batterie, di nuova generazione. La controffensiva europea, sul mercato automobilistico, vede ovviamente la Germania in prima fila. Herbert Diess, nuovo ceo del gruppo Volkswagen, ha annunciato che svilupperà la joint venture con i partner cinesi, con investimenti, nei prossimi cinque anni, per 15 miliardi di euro. La BMW, starebbe invece pensando di realizzare da sola, un nuovo stabilimento in Cina, per le mini elettriche.

Detto questo, viste le cause dell’arresto della locomotiva europea, tanto vulnerabile alle sfide dell’economia globale, verrebbe da chiedersi, se la Germania non pensasse finalmente, a ridurre il suo surplus commerciale e a incentivare i consumi interni, con spesa in deficit, abbandonando il mito dello Schwarze Null, lo “Zero Nero”, l’obiettivo del pareggio di bilancio, da difendere a tutti i costi. L’ultimo pacchetto pluriennale da 50 miliardi sul clima, non sembra alterare quest’obiettivo.

Chi più ha, più spenda, ha sostenuto qualche giorno fa, non a caso, il governatore della BCE, Mario Draghi. Il modello export driven tedesco, si è rivelato fragile, per la stessa economia tedesca, e di riflesso, per quella dell’Eurozona, a cui da tempo ha voltato le spalle, a favore di Cina e Stati Uniti. Con un eccesso di risparmio, rispetto agli investimenti, l’auspicio, è che la Germania riveda il suo modello di business, girando l’attenzione ai consumi interni, con maggiori investimenti produttivi, sviluppo delle infratrutture e incentivi fiscali alle imprese.

La politica espansiva della BCE, tanto avversata dalla Bundesbank e dai quotidiani tedeschi, (di qualche settimana fa, è l’affondo del settimanale Bild su “Draghi-la-succhia-risparmi”), ha effettivamente contribuito all’affermarsi di tassi negativi sui depositi bancari, in Germania. Ma ha anche contribuito a un grosso risparmio per l’erario tedesco, con l’azzeramento della spesa per interessi sul debito, crollata dal picco di 63 miliardi di euro, del 2012, ai 30,9 miliardi, del 2018. Se la Germania, avesse messo in atto, politiche fiscali espansive, facendo circolare più liquidità creditizia verso imprese e cittadini, avrebbe scongiurato, l’attuale redditività negativa del risparmio, che rimane comunque lieve, a dispetto dell’opinione pubblica tedesca. Ma come disse un giorno Jaques Delors (presidente della Commisione Europea), non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti i tedeschi credono alla Bundesbank.

Mario Draghi, nell’ultimo QE, ha comunque accontentato la Germania, ponendo interessi negativi sui depositi delle banche tedesche, in riserva presso la BCE, solo per importi che superino di sei volte, la quota obbligatoria prevista.

Vista la situazione, molti, in Europa, hanno tirato un sospiro di sollievo, nell’eventualità che la Germania, riveda la sua filosofia rigorista. Ma la Frau Nein, la “Signora No” tedesca, non si è fatta attendere. Il vice-ministro delle finanze tedesco, Joerg Kulies, dopo l’uscita dei dati negativi sull’economia, ha riconfermato, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, la tradizionale linea sul rigore fiscale: “ La Germania non farà deficit per crescere”.

E allora che si fa? Chi conosce la storia tedesca, saprà che la Germania, è ossessionata dal debito. Quest’anno, ricorre il centenario dalla firma del Trattato di Versailles del 1919, le cui condizioni di risarcimento di guerra, imposte alla Germania, dopo la sua sconfitta, provocarono, la nota iperinflazione tedesca degli anni’20. Da quei terribili anni, la Germania ha imparato una lezione: un Paese insolvibile, è un Paese ricattabile, vedi al giorno d’oggi, l’Italia e lo spread.

La solidità di bilancio, è un importante capisaldo dell’economia di mercato, ma in quest’era di speculazione finanziaria, paradossalmente, la disaffezione degli investitori stranieri verso i bund, (che sono a un nuovo record, di rendimento negativo), potrebbe accentuarsi, erodendo quello stesso risparmio, necessario al pareggio. In questo modo, la Germania, finirebbe per restare vittima, del suo stesso rigore.

Friedrich Magnani