Sono state tante le speculazioni sul possibile vincitore del premio Nobel per la pace di quest’anno ma alla fine a vincerlo è stato un personaggio politico, il primo ministro etiope Abiy Ahmed. Il premio gli è stato assegnato per gli sforzi dimostrati  “nel raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per le sue iniziative decisive per risolvere i conflitti lungo il confine con l’Eritrea”.

Diventato premier nel 2018. Abiy Ahmed ha fatto numerosi passi verso la pace e l’inclusione sociale nel suo paese. Giovane brillante e dalle idee rivoluzionarie, era stato definito sin da subito come la grande speranza per un futuro democratico e finora non ha deluso le aspettative. Originario di un gruppo etnico marginalizzato, gli Oromo, non appena salito al potere Ahmed si è impegnato per risolvere i conflitti interni dell’Etiopia, paese caratterizzato da una sentita divisione e rivalità tra i vari gruppi etnici. Ha legalizzato l’opposizione che fino a quel momento era considerata alla pari di un gruppo terroristico e ha rilasciato migliaia di prigionieri politici. Ma l’obiettivo forse più importante che ha raggiunto è stato quello di porre fine alla guerra ventennale con la vicina Eritrea. La pace tra i due paesi è stato un avvenimento fondamentale per l’intera Africa, continente segnato da devastanti e longevi conflitti interni. Le foto di Abiy Ahmed che abbraccia il presidente eritreo Isaias Afwerki avevano fatto il giro del mondo.

Fondamentale anche il suo impegno nel favorire l’inclusione e la parità di genere, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle donne nella politica. Ahmed ha infatti affidato alle donne la metà dei ministeri del suo governo tra i quali anche quello della difesa. Per la prima volta nella storia è una donna, Aisha Mohammed Mussa, a ricoprire l’incarico.

Ancora prima di ricevere il Nobel Abiy Ahmed risultava tra i favoriti per quel premio, assieme alla premier neozelandese Jacinta Arden, l’attivista brasiliano Raoni Metuktire e l’associazione Reporter senza frontiere che si occupa di preservare e garantire la libertà di stampa.

Tra i probabili vincitori figurava anche l’attivista ambientale 16enne Greta Thunberg per aver dato vita alla protesta Fridays for Future. Il problema con la candidatura di Greta tuttavia ci sono stati fin da subito, a partire dal fatto che è stata presentata troppo tardi, ma non è stato l’unico inghippo. Secondo alcuni osservatori a penalizzare Greta anche la sua giovane età e una retorica che può essere giudicata troppo aggressiva e divisiva.