Il presidente della Bolivia, il 59enne Evo Morales, è alla ricerca del suo quarto mandato dopo quasi 14 anni di potere. Non ha ottenuto però la vittoria assoluta alle controverse elezioni presidenziali di domenica e il leader dell’opposizione con i suoi sostenitori si rifiutano di riconoscere il risultato delle votazioni.

Con il 95% del conteggio dei voti ufficiali di martedì sera, Morales non ha raggiunto quel vantaggio necessario sul suo rivale principale Carlos Mesa. Secondo la legge boliviana, per vincere il candidato deve ottenere oltre il 50 per cento dei voti, oppure il 40% più un vantaggio di 10 punti percentuali per evitare un secondo turno di votazioni. Su 7 milioni di boliviani che hanno espresso il loro voto, Morales ha un vantaggio inferiore a 600 mila voti, un margine insufficiente per evitare il secondo turno a dicembre.

La massima autorità elettorale, il Supreme Electoral Tribunal, ha smesso di annunciare nuovi risultati quando mostrava Morales con il 45.3% dei voti rispetto al 38.2% di Mesa. Il giorno dopo, lo stesso organismo ha dichiarato di aver rinnovato il conteggio preliminare riportando Morales al 46.41% e Mesa al 37.06%. Dunque Morales non può evitare il secondo turno. Eppure domenica ha rivendicato una vittoria assoluta, affermando che i voti ancora da contare sarebbero stati sufficienti per dargli un nuovo mandato.

Il governo boliviano ha chiesto all’Organizzazione degli Stati americani (OAS) di condurre una verifica sui voti, ma da lunedì tutto è sospeso. Il ritardo dei risultati e la loro divergenza, il consiglio elettorale che ha interrotto inaspettatamente il conteggio, insieme alle serie critiche che sono state sollevate dagli osservatori elettorali internazionali, hanno suscitando sospetti nella manipolazione del voto che si si sono trasformati in accuse che hanno alimentato tensioni sfociate in violente rivolte da parte degli elettori e attivisti dell’opposizione portando a numerosi scontri.

I manifestanti contrari a Morales accusano i funzionari di aver cercato di aiutarlo per evitare nel secondo turno una battaglia in cui avrebbe potuto perdere contro un’opposizione sempre più unita in tutto il paese.

Sono stati date alle fiamme vari uffici regionali del corpo elettorale nelle città meridionali di Sucre e di Potosi, e la folla ha bruciato le urne a Tarija. Combattimenti tra bande dei due schieramenti sono avvenuti in diversi luoghi in tutto il paese, compresa la capitale La Paz. Molte schede elettorali sono andate distrutte. La polizia ha usato gas lacrimogeni nel tentativo di reprimere i combattimenti, i manifestanti hanno risposto lanciando petardi e pietre.

Un nuovo audit non è sicuro che sarà sufficiente a calmare le proteste che si stanno intensificando, considerate come le più grandi manifestazioni degli ultimi decenni in Bolivia. I disordini hanno segnato una grande scossa per il paese che ha un leader permanente con la più lunga storia di tutta l’America latina.

Morales, che è stato anche un attivo sindacalista con il Movimento per il socialismo, è diventato presidente della Bolivia nel 2006 e ha vinto facilmente le due elezioni successive nel corso di oltre un decennio di boom economico alimentato dalle materie prime nel paese più povero del Sud America. Ha realizzato strade, inviato il primo satellite boliviano nello spazio e ha frenato l’inflazione. Ha sempre affrontato però una crescente insoddisfazione, specialmente nel 2016 per aver ignorato i risultati di un referendum popolare su una modifica costituzionale dove un voto positivo gli avrebbe permesso di candidarsi per un altro mandato nel 2019.

La situazione è preoccupante ed esiste un serio rischio di disordini sociali. Il presidente Morales vuole aggrapparsi al potere e diventare un “intoccabile”. I gruppi filogovernativi hanno dichiarato che si mobiliteranno per difendere il risultato favorendo Morales, mentre l’opposizione ha chiesto una manifestazione di massa a La Paz per le accuse di frode.