“Cosa sono e cosa vogliono veramente i Verdi, dove si collocano? Per me a sinistra del Partito socialista – come provato dalle votazioni in Parlamento – e si differenziano da parte dei socialisti perché aspirano ad un radicale cambiamento della società con un conseguente plumbeo dirigismo statalista che condiziona le libertà personali. Come possono rispondere le altre forze politiche ancora in grande maggioranza?”

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Accanto al parere dell’Avvocato… ci metto anche il mio). Dopo tutto, intrattengo questo blog perché ho la passione di scrivere e per avere la possibilità di far conoscere la mia opinione.

Vedo questo “tsunami verde” – in primo luogo – come un effetto  psicologico di massa (stavo per scrivere “solenne sbornia”, ma potrebbe sembrare irrispettoso). Da fronteggiare a mente lucida, certo; non già da sottovalutare. Esso sta cambiando i numeri della politica e porterà leggi costrittive, condizionamenti, uffici, imposte e tasse. Potrà influire sull’economia (del Globo) per un valore di migliaia di miliardi di euro (non esagero affatto).

Ora la parola a Tito.

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Dobbiamo al Partito liberale radicale la Costituzione del 1848 e parimenti il Governo del Paese con sette consiglieri federali tutti liberali radicali (per il Ticino Stefano Franscini). Sino al 1891, anno in cui un K-K (il cattolico conservatore Joseph Zemp) entra in Governo. I liberali avevano ritenuto utile fare posto a quelle forze cattoliche e dei cantoni di montagna che il Partito conservatore aveva riportato nell’ambito confederale dopo il Sonderbund. Nel 1929 si considera opportuno che il partito che rappresentava i contadini e certi ceti borghesi (oggi UDC) partecipi al Consiglio federale con la nomina di Rudolf Minger. Nel 1918, terminata la Prima guerra mondiale, iniziarono gli scontri con i rappresentanti del mondo operaio presenti in Parlamento con il Partito Socialista. Alla prima elezione con la proporzionale del Consiglio nazionale (1919) la deputazione socialista contava 41 eletti (oggi 39).

Nel 1943, anni di una guerra durante la quale tutte le espressioni politiche svizzere non marginali furono antinaziste e antifasciste, quasi a testimoniare la coesione nel Paese, il socialista Ernst Nobs entra in Consiglio federale. È del 1959 la formula magica in virtù della quale i seggi in Consiglio federale vengono attribuiti in ragione di due ai tre partiti maggiori (liberale, conservatore, socialista) e uno all’Unione di centro.

Tutte queste evoluzioni sono caratterizzate da quel concreto pragmatismo che gli svizzeri preferiscono ai dibattiti strategici. Infatti questi passaggi sono caratterizzati da una nuova ripartizione del potere imposta dai fatti. La formula magica ebbe inizio in un periodo di guerra fredda con tutti i quattro partiti lontani dalle utopie sovietica e comunista. Ma da allora sono passati sessant’anni, vi è stata la rivoluzione fallita del ’68, che ha lasciato però pesanti tracce nella società, poi l’implosione della dittatura comunista. Se da un lato ciò ha decretato il fallimento di un sistema, ha liberato successivamente le nostalgie dei postcomunisti. Il Partito socialista nel corso degli ultimi decenni si è spostato a sinistra (emarginando sempre più l’ala riformista) dimostrandosi molto propositivo e battagliero. Le forze un tempo considerate borghesi (liberali e conservatori, oggi PPD) si sono appiattite su una visione meccanicistica della politica, quella favorita dalla formula magica. Mancando spesso di progettualità si sono limitati generalmente a contenere l’impatto delle proposte della sinistra o addirittura a copiarle, dimenticando che l’originale è sempre preferibile. Le mode di una società in cambiamento hanno creato simpatie lib-lab e per la terza via di Clinton, Blair, Schröder nei liberali; i conservatori hanno addirittura cambiato nome seguendo gli orientamenti di una sinistra cattolica (approdata in Francia dai socialisti ed in Italia dai postcomunisti) e regalando parte del proprio elettorato all’UDC. Con le elezioni dello scorso ottobre è arrivata l’onda verde e al Paese va data una risposta che non penso possa consistere nell’applicazione delle ricette meccaniche del passato.

Molti gli interrogativi ai quali si deve dare risposta. Cosa sono e cosa vogliono veramente i Verdi, dove si collocano? Per me a sinistra del Partito socialista – come provato dalle votazioni in Parlamento – e si differenziano da parte dei socialisti perché aspirano ad un radicale cambiamento della società con un conseguente plumbeo dirigismo statalista che condiziona le libertà personali. Come possono rispondere le altre forze politiche ancora in grande maggioranza? Ripensando strutture e programmi. La meritoria funzione storica dei liberali garanti della Svizzera del 1848 è esaurita, anche perché non dispongono più della forza elettorale di un tempo. Forse dovrebbero considerare di catalizzare, con nuovi progetti e visioni, le forze politiche di centro-destra. Un accorpamento non solo geometrico ed opportunistico ma capace di concepire la transizione nella società tecnologica con i necessari ammortizzatori e difendendo una cultura che valorizzi i talenti e sviluppi il senso di responsabilità e solidarietà. L’UDC dal canto suo dovrebbe adoperarsi per rompere quella coltre di ostilità che le impedisce di assumere il ruolo di partito di maggioranza relativa e superare i temi pur importanti e nei quali ha avuto un ruolo determinante, per assumere più vaste responsabilità. Il tutto è ovviamente condizionato al successo di un cambio generazionale della dirigenza in atto.

Ci si potrebbe domandare se i Verdi liberali non possano fare da catalizzatore per quei liberali di sinistra a disagio nel partito come pure per quei socialisti riformisti tipo Daniel Jositsch, consigliere agli Stati di Zurigo, sempre più emarginati da un PS spesso estremo nei propositi.

Molti sono i possibili altri interrogativi. Tutti necessari per dare una risposta ad una realtà politica e sociale in mutamento. Siamo inoltre in una società sempre più digitale che favorisce le disintermediazioni con influenza sulla mediazione partitica tradizionale. Parimenti le instabilità a livello europeo e mondiale, gli scontri tra ideologia mondialista e conservazione di identità rendono ancora più complesso il quadro. Alle dirigenze politiche del Paese un compito gravoso per il quale sarebbe opportuno associare ai pur utili «meccanici» della politica gli intellettuali d’area. Sul lungo tempo sono le idee e la genialità che vincono.

Tito Tettamanti

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata