Foto Wiki commons (James Yuanxiu Li)

Al suono di “Dio salvi la Regina” e con la nostalgica musica scozzese di Auld Lang Syne, “Il valzer delle candele”, si abbassava la bandiera inglese mentre contemporaneamente saliva sul pennone quella della Repubblica Popolare Cinese, rossa con le sue stelle.

Era il 1° luglio 1997, una data storica che segnava la fine di un’epoca coloniale, ricca di eventi, controversie, ma che aveva portato ad Hong Kong mercato, prosperità, libertà economica ed anche democratica.

  Il governo britannico della Thatcher aveva a lungo negoziato con Pechino per il ritorno (reversione) della Colonia alla sua madre patria con Deng Xiaoping; il mitico “piccolo timoniere” che dopo la morte di Mao Tse-tung nel ’76 aveva impresso con una visione straordinaria una energia di cambiamenti della Cina, i cui frutti ammiriamo noi oggi. In particolare quella di aver contribuito a far uscire dal ciclo della povertà 700 milioni di cinesi mediante lo sviluppo economico con la formula, solo apparentemente di un ossimoro,  “socialismo di mercato”.

Un secolo e mezzo prima del suo ritorno alla Cina, Hong Kong era diventata una colonia britannica. Fu una fortuna per il Regno Unito perché oltre ad essere geograficamente dotata per i traffici marittimi, dopo la riunificazione cinese del ’49 era diventata la “prima porta” per la Cina. Una posizione e situazione unica. Rivedendo su Google  il video di quel 1.luglio e dopo aver ascoltato le parole pronunciate dal Principe Carlo, spicca il discorso breve, profondo e commovente del 28esimo ed ultimo Governatore della Colonia: Chris Patten.

Una prolusione asciutta e  concisa. In pochi minuti Patten sostenne che il suo governo aveva non solo ben gestito il patrimonio Hong Kong, dando residenza e lavoro a molti immigrati cinesi scappati dal comunismo, ma ne aveva fatto un centro di traffici, di finanza, di conoscenza della Cina, senza rivali. Ed aveva per di più messo in atto tutte le strutture con i tre poteri di una democrazia, per far sì che  anche dopo la “reversione”, sotto la formula “un paese- due sistemi”,  la vita sociale e le attività economiche potessero continuare immutate.

Insomma, bandiera cinese, ma alto grado di autonomia da portare avanti. Chris Patten, soprannominato in cinese “Pang Ding Hong” (calmo, gioioso ed in salute) concludeva così i suoi anni straordinariamente importanti, imbarcandosi sullo yacht “HMY Britannia” diretto a casa subito  dopo il Tamar speech. Sottolineando però che ”gli occhi del mondo sono tutti su Hong Kong oggi”,  e che “la storia è quella che è stata  e verrà dopo la data che ricordiamo”.

Pochi giorni fa ho avuto il piacere di partecipare ad una riunione con lui (Sir Chris Patten- ultimo Governatore di Hong Kong)  e di scambiare alcune impressioni oltre che leggere i suoi scritti. Credo pochi al mondo conoscano la Cina ed il vulnus di Hong Kong quanto lui. Ovviamente non possiede la sfera di cristallo per prevedere come andrà a finire, la “corda è ormai al limite della tensione” e le cose potrebbero succedere. Ma Patten pensa che Pechino non userà ufficialmente la forza invadendo la regione.  “Purtroppo a  Pechino non credo capiscano bene il problema di Hong Kong. Nei sistemi autoritari quelli che circondano il potere non dicono le verità spiacevoli.”

Patten ritiene  che a Hong Kong, la gente è in piazza (alle prime manifestazioni oltre due milioni di partecipanti) non solo per la proposta di legge di concedere l’estradizione in Cina per molti reati politici (tardi, ma cancellata), ma anche perché protesta sull’aumento del costo della vita e delle case (acquisto o affitto) ormai fuori misura.

Troppo forti sono i segnali provenienti da Pechino sull’intolleranza delle proteste. Xi Jinping durante la sua visita in India ha dichiarato che “verranno ridotti in polvere” tutti quelli che tenteranno di cercare indipendenze o autonomie, di boicottare o staccarsi dalla madre patria.  Molti pensano che “il sogno di Xi, sia un incubo per Hong Kong. Tutti sanno nella ex colonia che in Cina si mandano nei “campi di rieducazione” centinaia di migliaia di Uiguri o che i dissidenti politici o i difensori dei diritti civili finiscono in carcere. Emblematica la storia di Liu Xiao Bo che tutti dovremmo conoscere.

E vorrebbero quindi che Hong Kong mantenesse fino alla scadenza dei 50 anni di autonomia, i diritti acquisiti e garantiti. Cosa che l’intervento violento della polizia (ed accolti anche della mafia) ha disatteso.  Molti cittadini non si fidano perché hanno conosciuto la brutalità del comunismo che li ha costretti a scappare dalla Cina.  Anche se molti sostengono ora che non si tratta più di comunismo (si parla di stato meritocratico) è innegabile comunque che ci troviamo di fronte ad  un regime fortemente  autoritario.  Ogni anno ad Hong Kong almeno centomila abitanti accendono le candeline per ricordare lo sterminio di tanti giovani cinesi nel dramma della Tienanmen: che non si dimentica.

Dagli scritti di Patten sembra evidente il suo giudizio sul comportamento cinese; patetico ed inappropriato. Non hanno capito che la gente di Hong Kong chiede solo di vivere in un paese governato “dalla legge”: non “con la legge”.

Vittorio Volpi