Caro Giovanni,

ti stimo come politico e come persona. Gli anni di collaborazione a Palazzo federale, seppur da schieramenti differenti, hanno significato molto per me. Per questo mi amareggia leggere stamane le parole sprezzanti che mi hai riservato sul Corriere del Ticino. Capisco lo stress elettorale. Comprendo anche l’agitazione del tuo partito. Ma francamente da parte tua non mi aspettavo una simile caduta di stile.

Mi attacchi sul piano personale, denigrando il mio impegno in Parlamento, la mia indipendenza intellettuale e la mia passione politica che, come la tua, è rivolta al bene del Paese e a quei ticinesi che abbiamo l’onore di rappresentare. Affermi il falso senza arrossire quando dici che a Berna non ho mai votato a favore delle misure d’accompagnamento in materia di Libera circolazione. Invece le ho sostenute almeno quanto te, pur non ritenendole in alcun modo una soluzione efficace ai disastri che quell’accordo bilaterale con l’UE ha creato nel nostro mondo del lavoro. Che tristezza, Giovanni. Sono convinto che tra colleghi che hanno il compito di rappresentare il Ticino sotto la cupola di Palazzo Federale bisogna evitare certe bassezze e mantenere un garbo istituzionale.

Tra qualche giorno il ballottaggio sarà finito e tutti i rappresentanti della Deputazione ticinese alla Camere, che quest’anno ho avuto il privilegio di presiedere, dovranno tornare a lavorare insieme per il bene del Paese e dei ticinesi, al di là del loro partito di appartenenza. Delegittimarsi e denigrarsi personalmente per una campagna elettorale, seppur importante, non è la strada giusta per risolvere i problemi dei ticinesi.

Per questo, caro Giovanni, su questa strada non posso seguirti. Sarebbe facile farlo e i miei sostenitori più accesi sarebbero felici di sentirmi dire che tu prendi ordini da Bruxelles. Non lo dico e non lo penso. Da qui al 17 novembre continuerò a confrontarmi con tutti, anche con te, parlando di temi e di proposte concrete.

Ad esempio, di ciò che possiamo fare per contrastare la crescita del rischio povertà in Ticino, per dare un futuro migliore alle 20’000 persone sottoccupate, per frenare l’esplosione dell’assistenza, per dare un lavoro dignitoso a chi risiede nel nostro Cantone. Per tutto ciò le risse non servono a niente.

Marco Chiesa