Lo scrittore, Alberto Peruffo, nell’atto di autografare una sua fatica letteraria. Nato a Seregno nel 1968, laureato all’Università degli Studi di Milano. Ha cooperato con la Sovrintendenza archeologica di Milano. Collabora con alcune riviste di storia, è insegnante di storia, e ha pubblicato i numerosi saggi storici.

Di Storia si parla, in Storia s’agisce. Ma chi, come e quanti ne morirono, agendo per la Storia? Il saggio di Peruffo indaga a fondo le Battaglie più Sanguinose della Storia dall’Antichità all’Epoca Contemporanea, fornendo dati scrupolosi, in una lettura dinamica, riuscendo encomiabilmente nell’ardua impresa di raccontare i massacri.

Battaglie sanguinose e razionalizzazione del massacro – Nella battaglia di Campioni del 545 a.C., combattuta tra 300 Spartani ed altrettanti Argivi, non vi furono né vinti né vincitori: si annientarono tutti, tra loro, sul campo. Eppure furono proprio i Greci a “ritualizzare” per “razionalizzare” il modo di fare la guerra, proprio per limitare le perdite ed escludere i civili dai massacri: le battaglie iniziarono a svolgersi così schematizzate, addirittura previa un accordo tra i generali circa giorno e luogo dello scontro.

L’indagine di Alberto Peruffo, autore de Le Battaglie più Sanguinose della Storia, oltre a riportare dati straordinariamente precisi e fonti (antiche e moderne) scrupolosamente indagate, fa riflettere su un aspetto basilare della storiografia, troppo sovente sorvolato (per le ovvie difficoltà che comporta). Eppure, senza le battaglie non vi sarebbe stata la Storia così come la studiamo oggi, poiché esse, sanguinose pietre miliari dell’umanità, hanno permesso ai popoli di quest’ultima di progredire (non è compito dello storico giudicare eticamente se in bene o in male), nel corso dei secoli.

Come riporta il dott. Peruffo, con l’epoca napoleonica cessa la “razionalizzazione” degli scontri e si ritorna a combattere sino “all’ultimo sangue”, ovvero giungendo all’annichilimento totale della parte sconfitta. Malplaquet e Kunersdorf sono solo alcuni dei casi in cui l’obiettivo principale tra i due schieramenti cessa di essere l’accordo finale, ma diviene la totale distruzione dell’armata avversaria.

Peruffo, con riflessiva grazia, ammonisce il lettore a non credere a uno “schema fisso” applicabile a una determinata epoca o a un determinato popolo, ma a contestualizzare sempre: dalla “ritualizzazione della battaglia” avvenuta dall’VIII sec a.C., i greci stessi passarono ad adottare tecniche sempre più elaborate tipiche dell’età ellenistica, dovute anche al fatto che, a partire dalle Guerre Persiane, si ritrovarono a combattere contro eserciti straniere dalle differenti tattiche belliche. Ne sono un esempio Platea dove contro i Persiani trionfò lo spartano Pausania, Gaugamela dove i Macedoni del giovane Alessandro vinsero contro i Persiani di Dario III e i Campi Raudi (per i quali l’Autore propone anche un’interessante e precisa locazione) in cui il romano Gaio Mario sconfisse (e sterminò) i Cimbri dello Jutland. Scontri tra popoli, scontri tra diversi pensieri, che l’Autore indaga con fine lucidità e ampi preamboli per introdurre, letteralmente, il lettore allo scontro.

Non solo strategia militare – l’indagine di Peruffo prosegue, portando il lettore a riflettere anche sulle differenti cause degli scontri indagati dall’autore: nello stesso ambito culturale v’erano meno morti, avveniva un massacro, invece, quando il movente erano le ideologie. Dalle cause delle battaglie alle cause delle morti, che in questo secondo caso, avvenivano non solo in battaglia: dalle ovvie conseguenze dello scontro armato, alla repressione, all’eliminazione “a sangue freddo” del nemico politico.

La fortuna ha il suo perché – ma indagata a posteriori presenta chiare motivazioni di tecniche belliche. Canne, per esempio, a causa della superficialità, i cui i Romani furono “imbottigliati in una sacca d’annientamento senza precedenti.” Peruffo si sofferma inoltre sulle differenti ed eclatanti tecniche di battaglia, quali quelle navali, “più sanguinose” rispetto a quelle campali per la morte per annegamento cui erano destinati gli uomini dell’equipaggio addetti ad eseguire le manovre di spostamento delle imbarcazioni.

Numero ridotto di perdite, quello delle pur cruente battaglie (con più di venti mila morti) dell’antichità e del medioevo, se paragonato a quelle, atroci, della modernità. Se nel corso dell’antichità le armature vennero progettate affinché potenziassero la loro protezione, nell’epoca moderna, al contrario, “armi sempre più micidiali e mobilitazione di eserciti sempre più numerosi” hanno portato “a stragi raramente viste in precedenza”. E, come conclude l’autore, “Con la guerra di massa del XX secolo si sono poi raggiunte delle vere e proprie ecatombi mai riscontrate prima”. È il caso delle battaglie della Grande Guerra, come quella della Bainsizza del 1917, in cui, tra feriti e caduti, si contarono 120mila austriaci e 160mila italiani o la battaglia di Stalingrado, in cui si contarono 400mila prigionieri tedeschi, rumeni, ungheresi e italiani e 478mila sovietici morti o dispersi. Numeri esorbitanti, quelli della storia contemporanea, che fanno sì che il lettore rifletta sull’etichetta di “cruento” forse inopportunamente e solo in modo relativo attribuita alla Storia Antica.

Alberto Peruffo indaga tutto ciò, senza mai cadere nella retorica. Plurime riflessioni che sorgono spontanee e che tuttavia vanno oltre i semplici “perché” di chi si approccia a tanta, vera, accaduta crudeltà. Poiché alla fine, se gli interrogativi esistenziali restano insoluti, quelli relativi agli avvenimenti si possono sempre, ancor di più, indagare in dettagli ogni volta sempre nuovi.

Un’indagine serrata, avvincente, lucida e dinamica: per ogni battaglia. Dalla Storia Antica, passando per il Medioevo e l’Età Moderna, alla Contemporaneità.

Alberto Peruffo, Le Battaglie più sanguinose della Storiadall’antichità alla Seconda Guerra Mondiale, gli scontri più cruenti che l’umanità abbia mai conosciuto, New Compton Editori, Roma 2018.

La copertina del Libro di Peruffo, edito da New Compton