Anche l’Iran è entrato nella lista dei paesi dove sono in corso rivolte sociali. La situazione non è chiara visto l’accesso limitato a Internet che ha frenato il flusso dei video condivisi sui social media, ma si parla di almeno 12 persone uccise da quando tre giorni fa sono scoppiate violente proteste contro l’improvviso aumento del 50% dei prezzi del carburante sui primi 60 litri e del 200% per ogni litro aggiuntivo acquistati ogni mese.

A livello nazionale le strade principali dei maggiori centri urbani sono state bloccate, le banche sono state incendiate e vari edifici pubblici presi d’assalto. I filmati trasmessi dalla televisione di stato, che raramente mostra segnali di dissenso nel paese, fanno vedere giovani mascherati manifestare lungo strade disseminate di detriti. Alcune persone sono riuscite a condividere i video delle proteste nonostante le restrizioni. Il blackout di Internet infatti rende molto difficile avere un’idea di quanto siano diffuse le proteste, e il fatto che sia inattivo e che molte scuole siano state chiuse, suggerisce che i disordini siano tutt’altro che finiti. Alcune fonti contattate per telefono dalla BBC persiana hanno raccontato di molte persone uccise, ferite o arrestate.

La decisione dell’aumento dei prezzi è stata accolta con rabbia diffusa in un paese dove l’economia è in crisi a causa delle sanzioni statunitensi che hanno causato un crollo delle esportazioni di petrolio e fatto salire il tasso di inflazione.

Il presidente Hassan Rouhani, cha ha anche ottenuto il sostegno del leader supremo dell’Iran, L’Ayatollah Ali Khamenei, ha difeso il controverso aumento dei prezzi del carburante dichiarando che il governo agisce nell’interesse pubblico e che i proventi sono destinati ai cittadini più bisognosi del paese. In Iran ci sono 60 milioni di poveri su un totale di 82 milioni di abitanti. Rouhani ha annunciato che i primi pagamenti verranno effettuati già nella serata di lunedì, avvertendo allo stesso tempo che “Protestare è un diritto della gente, ma protestare è diverso dal fare una rivolta. Non possiamo permettere l’insicurezza nella società”.

Il portavoce del ministero degli Esteri, Abbas Mousavi, ha criticato gli Stati Uniti per aver espresso, tramite il segretario di Stato Mike Pompeo, sostegno per i manifestanti. Lo ha definito “ipocrita” in quanto l’economia iraniana è stata paralizzata dalle sanzioni che proprio il presidente Donald Trump ha voluto reintrodurre lo scorso anno nel tentativo di costringere l’Iran a negoziare un nuovo accordo nucleare con le potenze mondiali.

I manifestanti sono stati definiti dal leader supremo “delinquenti” e le potenti guardie rivoluzionarie iraniane hanno minacciato azioni decisive che verranno intraprese se i disordini diffusi in tutto il paese non cesseranno. Ali Khamenei ha incolpato gli avversari e i nemici dell’Iran per l’agitazione dei manifestanti che attaccano la proprietà pubblica come dei criminali.

Gli addetti ai lavori affermano che alla fine questi disordini potrebbero portare vantaggi all’attuale istituzione politica che si assicura una forte affluenza alle prossime elezioni parlamentari di febbraio. Il più consistente supporto per l’establishment religioso sono proprio quei 60 milioni di poveri che riceveranno dispense in denaro a seguito di questo aumento dei prezzi del carburante e che sicuramente andranno al voto. La preoccupazione difatti è che il crescente malcontento economico porti ad una bassa affluenza alle urne, in particolare tra le classi medie e inferiori.

La frustrazione degli iraniani cresce però sempre di più a causa della forte svalutazione della valuta, e per l’aumento dei prezzi di molti generi alimentari da quando sono state reintrodotte le sanzioni. Il timore di un’escalation di violenza è rappresentato dal fatto che molti iraniani non credono più alle rassicurazioni della Repubblica islamica.