“Movimenti politici e non annunciano la fine del mondo tra pochi decenni…”

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Il titolo scelto dall’Avvocato, nella sua semplicità, è perfetto. Non è successo niente. Non è successo niente a Cassis. Non è successo niente a Rytz. Da un punto di vista strettamente mediatico la mattinata è stata un flop. Niente emozioni, niente suspense. Com’è grigia talvolta la politica.

L’Onda verde è mondiale (anche se, sul piano elettorale, non agisce con pari intensità in tutti i paesi). Gli svizzeri si sono impressionati e hanno reagito d’impeto. 

Un Negazionista direbbe: Il clima è una bufala ben architettata e ben venduta. Si tratta in realtà di acquisire enormi quantità di voti (per rimodellare il potere politico) e di forzare provvedimenti economici, mutando radicalmente gli indirizzi, che hanno un “peso” di migliaia di miliardi (nessuna esagerazione). Una recente decisione ecologica presa dalla Germania pesava 100 miliardi di euro. 

Ha fatto bene l’Assemblea federale a dire: aspettiamo (l’ormai famoso “calma e gesso”)? Assolutamente sì. La gente potrà stancarsi anche dell’Icona Sublime. E gli Elvetici persino dei Verdi elvetici.

Ho sentito che il Blick (che non è poco) cita Greta Gysin come possibile consigliera federale verde. La carriera di questa giovane mamma si annuncia particolarmente veloce!

NOTA. Pare che la neo-consigliera nazionale, definita da Franco Celio, “avvenente”, abbia protestato pubblicamente. 

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Tito Tettamanti con Fabio Pontiggia alla sala san Rocco (9 dicembre)

Non è successo niente, è il commento che ha accompagnato il risultato delle elezioni al Consiglio federale. Certo, meglio così, cambiamenti sostanziali e strutturali avrebbero risentito della pericolosità della fretta, della mancanza di riflessioni, del ricorrere a formule che applicate con criteri puramente aritmetici potrebbero anche rivelarsi superate ed inadeguate. Attenzione però a non adagiarsi sul «non è successo niente» per dimenticare quanto invece è successo con le elezioni parlamentari.

Non solo l’onda verde ma anche la maggior presenza di donne sostenutesi vicendevolmente per l’elezione (espressione di una notevole coesione), l’arrivo di diversi deputati non ancora trentenni, cioè i veri giovani che solidarizzano tra loro.
Sono risultati che contano più che non i seggi persi dall’UDC e di quelli persi dai socialisti sconfitti dai Verdi, che sino ad oggi erano il partito estremista ma subalterno della sinistra. Vi sono sufficienti elementi che possono far pensare, al di là delle concorrenze partitiche, ad una possibile onda che investe e mette in discussione le nostre strutture istituzionali.
Per iniziare dai partiti, hanno ancora una sufficiente rappresentatività, sono lo specchio vero di un elettorato sempre più ondeggiante, sempre più al seguito di movimenti e richieste occasionali? È giusto, come si sente dire, che i partiti debbano fare inchieste per sapere cosa vogliono gli elettori o non sarebbe più corretto pensare che dovrebbero disporre di sufficienti conoscenze dei problemi del Paese e degli elettori per poter esprimere una propria progettualità, impegnandosi a difenderla, diffonderla, convincere? In sintesi, marketing o programmi?

Il nostro Consiglio federale, che è un Direttorio, ha funzionato quale istituzione molto bene gestendo per un lunghissimo periodo la nostra delicata struttura di poteri e contropoteri, anche non scritti, in modo complessivamente efficiente e assicurando stabilità. Questa funzione di Direttorio e l’utile convinta adesione alla concordanza sono ancora possibili se i partiti al volante invece di essere quattro (e alcuni per certi versi simili) diventano sei e domani sette? In più con alcune delle forze rappresentate nel Direttorio molto estreme nelle loro richieste e che postulano un radicale rovesciamento del nostro modo di vivere, con visioni di società che si contraddicono massicciamente, ciò che non è mai stato il caso con i socialdemocratici (oggi in minoranza nel Partito socialista) di un tempo? Considerazioni come molte altre possibili, che meritano riflessioni, approfondimento ma anche la capacità di avere qualche idea nuova, qualche proposta anche impensabile e sorprendente per la genialità.

Ma il problema più assillante è quello dello spazio da dare ai giovani. Dobbiamo renderci conto che i nostri problemi (non solo quelli di un dinosauro come me ma anche delle generazioni successive) non sono più i loro, i temi che ci hanno appassionato nel passato (per esempio più Stato meno Stato) non sono i loro. Parliamo una lingua diversa, comunichiamo e socializziamo diversamente, anche gli interessi sono diversi.

Non credo che nessuna delle generazioni dello scorso secolo si sia trovata dinanzi ad una società in profonda evoluzione e mutamento come oggi. Pensiamo ad esempio alla tecnologia che sta già sconvolgendo i nostri rapporti. Uno studio McKinsey prevede che entro il 2030 scomparirà più di un milione di posti in Svizzera sostituiti da oltre 800.000 posti di diversa natura. Quale risposta e quindi preparazione (inclusa educazione) si attendono i giovani? Come possono contribuirvi?

Passiamo al clima. Movimenti politici e non annunciano la fine del mondo tra pochi decenni se non cambiamo drammaticamente il nostro modo di vita. Come reagiscono i giovani? Gli spazi temporali del problema concernono maggiormente la loro di un’esistenza. Il catastrofismo potrà anche essere un’esagerazione ma diffonde paure: come le vogliono affrontare i giovani al di là di puerili reazioni emotive di bambini e adolescenti delle quali taluni si approfittano?

Dinanzi a dibattiti sulla previdenza per la vecchiaia, che ogni volta accollano loro miliardi di debiti da pagare, sono ormai rassegnati. Non hanno nessuna voce in capitolo. Come possono reagire? Le politiche delle banche centrali penalizzano con i tassi negativi il risparmio e quindi ostacolano una delle vie per l’ascesa sociale dei giovani. Che fare? Il nuovo mondo della tecnologia che tende all’intelligenza artificiale, i problemi del clima, il carico di indebitatissimi sistemi previdenziali, gli ostacoli all’ascesa sociale. Sono questi e molti altri i problemi diversi da quelli che i loro genitori hanno dovuto affrontare. Come permettiamo loro di contribuire e cercare di plasmare il loro futuro? Dubito che le generazioni mature siano in grado di capire, comunicare, risolvere tali temi con la sensibilità di chi vi è direttamente interessato e mi chiedo come nelle strutture istituzionali si possa tener conto di ciò e quanto queste preoccupazioni debbano influenzare i necessari adeguamenti istituzionali al di là di formule un tempo magiche. Cosa fare? Io non lo so, ma credo sia doveroso farci un pensiero.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata