Basta dare uno sguardo alle testate giornaliste internazionali per capire la preoccupazione dell’opinione pubblica mondiale. Il presidente statunitense ha fatto qualcosa che altri presidenti hanno avuto l’opportunità di fare e che non hanno fatto. Ora Trump minaccia la stabilità nel mondo a causa dello scarso interesse mostrato verso il consolidamento della pace e la costruzione di alleanze. Questo è il pensiero anche di chi si è schierato a favore dell’eliminazione del generale iraniano ritenendola una giusta decisione. Ma gli stessi americani si rendono conto però di avere un comandante sbagliato. Qualcuno al timone che non è in grado di navigare negli eventi complessi che ora sono stati messi in moto.

Trump ha giustificato l’omicidio di Soleimani affermando che l’Iran stava tramando attacchi imminenti nei confronti di diplomatici e personale militare americano. Tuttavia non ha offerto prove concrete a sostegno delle sue affermazioni. L’ambasciatore iraniano all’ONU, Takht Ravanchi, ha dichiarato che “La risposta ad un’azione militare è un’azione militare”. Washington osserva e aspetta.

Il corpo di Soleimani è tornato a Teheran dove da oggi fino al 7 gennaio enormi folle di iraniani marceranno nelle strade lungo il corteo funebre ribadendo la sfida iraniana contro gli USA. l’Iran vuole ricompattare la popolazione intorno alla figura del generale ucciso, perché esistono due divisioni tra il popolo iracheno. Parlano tutti la stessa lingua e fanno parte della stessa storia ma tra i giovani si esaltano slogan opposti. In Iraq oltre il 63% della popolazione è di fede musulmana sciita, divisa tra quelli che si sentono iracheni a favore dell’indipendenza e che ora si sentono liberati con l’uccisione di Soleimani, e quelli che seguono invece il regime degli ayatollah di Teheran. Lo scenario generale è quello delle bandiere americane che vengono bruciate.

Certamente la morte di Soleimani è un duro colpo per i piani iraniani di dominio nella regione. Soleimani è stato prezioso per Teheran in Libano e nello Yemen ed era importante per il progetto che stava guidando: quello di creare un’egemonia iraniana nella regione affrontando sfide senza precedenti contro l’Isis. È difficile che un suo successore sia in grado di completare quella missione.

Rimane il fatto che Trump dirige attacchi che potrebbero dare il via ad un conflitto. La ritorsione iraniana è inevitabile e potrebbe scatenare una reazione che porterà gli Stati Uniti in un conflitto senza fine in Medio Oriente. Per gli opinionisti americani questo va impedito. Gli USA non hanno bisogno di una ulteriore guerra in un paese (Iraq) dove non c’è nulla per cui valga la pena lottare. Secondo Joe Kent, ufficiale delle forze speciali dell’esercito, per prevenire la guerra USA-Iran bisogna ritirare immediatamente le truppe dall’Iraq.

Nel 2003 i timori rivelatisi in seguito infondati di una possibile dotazione di armi di massa, hanno portato gli Stati Uniti ad un conflitto bellico con l’invasione dell’Iraq e la deportazione di Saddam Hussein. Alla fine della guerra, nel 2011, l’esercito americano insediò un nuovo governo affidandogli tutti i poteri. Gli americani hanno perso quasi 5 mila soldati e speso un trilione di dollari per rendere l’Iraq un po’ stabile. Ma questa stabilità è stata soltanto una pausa tattica nella guerra civile tra sunniti e sciiti che ha consolidato il controllo dell’Iran.

L’Iran deve mantenere il controllo dell’Iraq per mantenere i collegamenti con i suoi delegati in Siria, Libano e Bahrein e per mantenere soprattutto la capacità di colpire l’Arabia Saudita, suo eterno rivale sunnita. La forza strategica iraniana risiede nei suoi delegati iracheni che devono essere finanziati per essere in grado di fare affari in Iraq, ma le sanzioni americane hanno soffocato la maggior parte degli afflussi di denaro.

Molti democratici hanno criticato Trump per non aver informato a dovere il Congresso dell’attacco e di non aver aspettato l’approvazione. L’amministrazione Trump avrebbe dovuto spiegare le circostanze e la durata prevista del coinvolgimento militare. Nancy Pelosi, presidente della Camera, ha dichiarato che vanno poste domande serie e urgenti sulle ostilità contro l’Iran. “Il Congresso e il popolo americano sono lasciati al buio”.

Le preoccupazioni si concentrano ora verso i legami bilaterali tra Washington e Baghdad sottoscritti dopo il ritiro dall’Iraq. Funzionari iracheni hanno fatto sapere che ora avrebbero spinto per far uscire dal paese le rimanenti forze statunitensi che erano tornate per combattere l’Isis. Un atto che metterebbe a repentaglio gli sforzi globali di cancellare la minaccia del gruppo terroristico.

Gli Stati Uniti hanno inviato una nota a Teheran attraverso l’ambasciata svizzera che funge da intermediario tra i due nemici. Nella nota si chiede una “risposta proporzionale” all’uccisione di Soleimani. “Gli svizzeri che rappresentano gli interessi degli Stati Uniti in Iran, hanno portato un messaggio poco saggio dagli americani, che hanno ricevuto una risposta ferma”, ha detto il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif in un annuncio sulla televisione di stato. “Gli americani hanno fatto una mossa sbagliata e ora sono preoccupati per le sue conseguenze”. “Presto vedremo che gli americani non saranno presenti nella regione”, ha dichiarato Ali Fadavi, vice comandate delle Guardie rivoluzionarie islamiche.

Trump promette di colpire 52 siti militari se l’Iran si dovesse vendicare. “Gli Stati Uniti non vogliono più minacce!”, ha detto Trump, aggiungendo che i 52 obiettivi rappresentano i 52 americani che erano stati tenuti in ostaggio a Teheran nel novembre del1979.

Secondo gli opinionisti americani sono due i fattori che hanno inciso nella decisione di Trump di dare il via libera a questa rischiosa operazione. Il primo è che il suo impeachment di poche settimane fa deve averlo fatto sentire più combattuto che mai. Il secondo fattore potrebbe essere la ritirata di quei consiglieri che un tempo erano in grado di moderare le sue azioni. Con la partenza dell’ex segretario alla Difesa James Mattis e l’ex capo dello staff John Kelly, Trump è più libero di dare ordini in ogni direzione che potenzialmente potrebbero portare a  conseguenze inattese e spiacevoli in seguito.