Due mostre toscane per guardare al talento italiano come espressione di una cultura

Guardare al talento italiano come espressione di una cultura non è spesso di moda. Un po’ per il carico di storia che racchiude in sè, un po’ perchè le mostre nascono e muoiono con l’intento non tanto di ricostruire una certa tematica artistica, ma di mostrarla al pubblico. Il più vasto possibile. Sono invece due belle mostre, entrambe toscane, che nelle recenti vacanze natalizie hanno permesso a chi scrive di fare una riflessione: una ricostruzione dell’universo arti visive italiane nei secoli non solo è possibile, ma anche auspicabile.

Giacomo Balla Forme Grido Viva l’Italia dal sito ufficiale della mostra

Nel primo caso è la mostra “Futurismo” a Pisa, nello splendido Palazzo Blu sul lungarno visitabile sino al 9 Febbraio 2020, che vanta “una ricostruzione quasi unica dell’«universo» delle arti visive futuriste, con 100 opere esposte, divise in sezioni dedicate ai manifesti teorici pubblicati dal movimento”, come recita appunto il comunicato stampa.

La seconda è “Bernardo Bellotto 1740 Viaggio in Toscana” conclusasi il 6 Gennaio 2020, presso la Fondazione Ragghianti a Lucca, che ha illustrato uno dei temi piu’ affascinanti del vedutismo settecentesco: il viaggio di Bernardo Bellotto in Toscana e che ha ricevuto la Dichiarazione di rilevante interesse culturale da parte del Ministero dei Beni e le attivita’ culturali e del turismo italiano.

Due mostre solo apparentemente lontane perche’ segnano entrambe in epoche molto differenti, una perfetta ricostruzione dell’universo delle arti visive italiane in periodi cruciali per la sua storia.

Come un enorme puzzle, ecco quindi i Futuristi, nella bella mostra a Pisa, “le stelle più luminose della prima stagione futurista (Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini, oltre al visionario architetto Antonio Sant’Elia, che ideò città futuribili, mai realizzate ma ricche di soluzioni a dir poco profetiche) riempiono lo stesso cielo della grande astrazione geometrica immediatamente successiva, quella di Balla, che raccolse l’eredità di Boccioni (scomparso precocemente nel 1916) e Depero che riuscì a contaminare dei principi del futurismo la vita quotidiana degli anni ‘20, colonizzando moda, arredamento, arti decorative, scenografie e grafica. Un viaggio che si spinge ancora oltre, fino al culto del volo, teorizzato dal Manifesto dell’aeropittura dei primi anni ’30, firmato da un folto gruppo d’artisti, da cui scaturirono dipinti inediti”, come appunto ci ricorda la presentazione della mostra. Ma c’è di più. L’allestimento di Palazzo Blu a Pisa permette di entrare “nel cuore” del movimento futurista quasi dialogandoci, riuscendo con pochi ma perfetti accostamenti tematici, di mettere in risalto l’arte e la vita dell’Italia di quegli anni, compiendo un piccolo miracolo: far emergere l’anima del futurismo stesso e quel senso del “io no accetto” che è poi diventata l’essere “anti” tutto: anti-borghese, anticattolica e molto altro ancora, accostandola alla storia dei primi del novecento, attraverso quella spinta energica verso il progresso ed a quell’innata capacita’ di attingere alla parte sana dell’uomo, in un mondo che diventava sempre piu’ “malato” a causa delle guerre che stava vivendo.

La mostra di Palazzo Blu insomma, offre di comprendere il futurismo italiano da una prospettiva nuova: fare zoom, quasi una sorta di “focus”, su quello che era il mondo di quegli anni, in particolare in Italia senza pregiudizi, valutando solo il valore delle opere esposte.

La mostra,organizzata da Fondazione Palazzo Blu insieme con MondoMostre e curata da Ada Masoero, vanta il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Toscana e del Comune di Pisa. Inoltre il bel catalogo della mostra è edito da Skira Editore ed offre un ulteriore focus tematico.

Sempre di “focus”,sulla qualità delle opere, si puo’ parlare per la mostra di Lucca, anche se in un contesto totalmente differente: il nipote di Canaletto infatti, grazie alla sua camera ottica che era visibile nell’originale proprio nella mostra, non solo realizzo’ con le tecniche compositive dello zio suggestioni pittoriche interessanti, ma grazie alla documentazione ed i recenti studi di archivio hanno dimostrato, sviluppo’ uno stile espressivo inedito per i tempi volto a usare la prospettiva per un nuovo senso di realismo nella rappresentazione. Come recita il comunicato stampa “fulcro dell’esposizione sono le vedute di Lucca: per la prima volta il dipinto raffigurante Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca, del City Art Museum di York (Yorkshire, Inghilterra) torna nel luogo in cui è stato eseguito, l’unico noto di Bellotto di questa città, e per la prima volta vengono esposti i cinque disegni di varie vedute di Lucca che in quest’occasione verranno staccati dall’album di Giorgio IV, parte della collezione cartografica del re, in cui vengono conservati alla British Library fin dai primi decenni dell’Ottocento. Le vedute di Lucca di Bellotto sono l’unico episodio di rilievo di questo genere nella storia artistica di questa città e una fonte documentaria di eccezionale importanza”. Da segnalare inoltre il ruolo del catalogo della mostra che offre spunti e nuovi dati sulla storia di queste opere e documentate proprio grazie alla realizzazione di questa mostra.

Concludendo quindi, queste due mostre insegnano quanto guardare al talento italiano come espressione di una cultura non è spesso di moda ma dovrebbe esserlo. Perchè una ricostruzione dell’universo arti visive italiane nei secoli non solo è possibile, ma anche auspicabile essendo spesso una ricerca di sguardi nuovi e grande capacita’ di osare. In positivo,senza pregiudizi, valutando solo la qualità delle opere esposte.

Cristina T. Chiochia