Una missione innovativa 
senza precedenti progettata dall’Agenzia Spaziale Europea congiuntamente con la NASA, consentirà di rivelare il funzionamento interno della nostra stella più vicina. Il 9 febbraio scorso alle 4 del mattino (ora GMT), un razzo Atlas 5 fornito dalla NASA ha lanciato dalla stazione aeronautica di Cape Canaveral, in Florida, la navicella spaziale Solar Orbiter dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea

Il satellite catturerà le immagini dei poli del Sole e otterrà i primi dati in assoluto sul campo magnetico che permetteranno di svelare i misteri del ciclo di attività solare che dura in media 11 anni, causato dall’inversione della polarizzazione magnetica. Grande come un minivan con un peso (sulla Terra) di 2 tonnellate ed un costo 2.2 miliardi di dollari, Solar Orbiter si affiancherà alla sonda spaziale Parker della NASA, lanciata nel 2018. 

È un vero e proprio laboratorio che dispone di una suite di 10 strumenti sofisticati che, lavorando insieme con i satelliti e i telescopi terrestri, tracceranno in 3D l’evoluzione delle eruzioni sul sole dalla sua superficie allo spazio fino alla Terra.

Il razzo Atlas 5 ha rilasciato Solar Orbiter, un’ora dopo il lancio, su una traiettoria che lo condurrà oltre il pianeta Venere in circa due anni. Una volta superato Venere, il satellite spaziale pianificherà il suo sorvolo nel corso dei cinque anni successivi mettendosi in un’orbita allungata ad anello (ellittica) avvicinandosi sempre più al Sole rispetto al pianeta Mercurio fino ad arrivare alla distanza di circa 43 milioni di chilometri. Sufficienti per osservare attraverso piccoli spioncini nello spesso scudo termico del satellite le immagini spettacolari con una risoluzione mai raggiunta prima, che consentiranno di studiare il vento solare. Le manovre di assistenza alla gravità esercitata dalla Terra e da Venere consentiranno al satellite spaziale di cambiare l’inclinazione e osservare il sole da diverse prospettive. Un’esclusiva orbita che lo porterà su entrambi i poli mai fotografati prima.

L’attività del Sole viene misurata in base al numero delle macchie solari che compaiono più o meno intensamente sulla sua superficie, la fotosfera. Macchie che emettono luce, ma ci appaiono scure per contrasto con la brillantissima superficie circostante più calda. Attualmente l’attività è al minimo con il numero di macchie solari ridottissimo che gli esperti dicono durerà fino a settembre 2020. Poi si avrà una lenta ripresa verso un massimo solare che dovrebbe aversi nel 2026.

Grazie alle macchie solari è possibile seguire la rotazione del Sole su sé stesso che viene compiuta in 25 giorni al suo equatore e in 34 giorni presso i poli. Questo avviene perché il Sole è una sfera di gas – composta da Idrogeno (92.1% del suo volume), Elio (i7.8% del suo volume) da altri elementi più pesanti – e non ruota rigidamente come la Terra ma in maniera differenziata. Non tutti i cicli sono uguali. Alcuni durano di più, altri di meno, e alcuni cicli vedono un numero consistente di macchie solari rispetto ad altri.

Per la Terra, distante 150 milioni di chilometri, la minore attività del Sole significa una minore intensità del campo magnetico solare che comporta essere investita da una maggiore quantità di radiazioni cosmiche, dalle quali invece la Terra viene protetta quando il Sole ha una intensità magnetica più forte. Infatti il vento solare deforma la magnetosfera dotata di campo magnetico. L’atmosfera che protegge il nostro pianeta da queste particelle letali per la vita, viene compressa sul lato della Terra rivolto al Sole e stirata a forma di goccia nel lato opposto. Il fenomeno più vistoso è quello delle aurore boreali e australi, le quali possono essere viste quando le particelle cariche elettricamente vengono indirizzate verso i poli magnetici terrestri. Inoltre la minore attività del Sole comporta una diminuzione di emissione di raggi ultravioletti che consentono all’atmosfera terrestre superiore di raffreddarsi e di contrarsi.

Complessivamente sono più di una dozzina i veicoli spaziali che si sono concentrati sul Sole negli ultimi 30 anni, ma soltanto alla sonda Parker e alla sonda Solar Orbiter la tecnologia ha permesso di avvicinarsi alla nostra stella madre senza essere “fritti”.