Credo che in tutti noi, quando abbiamo studiamo per la prima volta che nell’800 Lord Elgin prelevò le statue del frontone del Partenone per portarli, dalla Grecia a Londra, abbiamo avuto un moto di rabbia, nei confronti del collezionismo inglese che spesso depauperò i paesi d’origine dei loro monumenti simboli.

Ma pensiamo per un attimo che fine avrebbero fatto, altrimenti, i leoni persiani se non fossero attualmente al British Museum? Ci rendiamo conto che probabilmente sarebbero nelle mani di terroristi islamici dell’ISIS che li avrebbero resi poltiglia di polvere, perché pagani?

Al tempo in cui Lord Elgin prelevò i marmi dal Partenone, la Grecia era ancora sotto il dominio turco e, sul Partenone stesso, sventolava la mezzaluna islamica. Se le statue di Dei sono oggi prive di testa e mani, fu perché la follia islamica li mutilò, in quanto iconoclasta. E lo stesso destino era toccato, nel XV secolo alla Sfinge (che attualmente ha il naso rotto), per volere dei turchi, nonché ai mosaici di Santa Sofia, coperti da uno spesso strato di intonaco.

Ad ogni modo, il British Museum rappresenta oggi, oltre ad essere uno dei più grandi musei al mondo, ospitante  circa un milione di visitatori all’anno, una meta per la cultura, oltre che per il turismo, e le sue scissioni debbono essere mantenute coese, così come volle il progetto originario, affinché il visitatore possa fare un reale, concreto e sublime viaggio nel tempo e nel mondo: dai primordi dell’umanità all’antropologia del secolo XVIII; dagli albori dell’Europa, alla magnificenza dell’ Ottocento, alle Americhe dei nativi americani.

Ecco perché Londra avrebbe tutto il diritto di rispondere alla Grecia che il contratto con cui Lord Elgin acquistò le statue degli Dei fu ritenuto legale, e che, nonostante l’attuata Brexit, l’Inghilterra possa continuare ad assumersi la responsabilità della custodia  dei marmi greci.