di Zeno Casella, membro del comitato centrale del Partito Comunista (PC)

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Ticinolive dovrebbe verosimilmente collocarsi tra i media “imperialisti”; tuttavia volentieri riceve e pubblica questo testo, molto ideologico ma interessante, uscito dalla penna di un giovane comunista.

Su certi concetti, ovviamente, sarebbe lecito obiettare, ad esempio: “l’imperialismo che ha scatenato la pandemia”. È forse il castigo divino per la globalizzazione? (Un rabbino israeliano ultra-ortodosso ha detto: “è il castigo divino per l’omosessualità”, dalle nostre parti sarebbe finito immediatamente a processo).

Ben poche voci si levano ad accusare il Celeste Impero. Solo il Grande Provocatore la cui casa è Bianca ha osato parlare di “virus cinese”. Lui è così, esplicito. Non è mai imbarazzato.

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Da ormai varie settimane, insieme al COVID-19 (altrimenti noto come “coronavirus”), si sta diffondendo nel mondo una vera e propria emergenza sanitaria che sta mettendo a dura prova i sistemi di salute pubblica di un numero crescente di paesi. I governi devono dunque far fronte ad una crisi sanitaria cui non erano da tempo confrontati: inevitabilmente, la natura dei sistemi sociali toccati incide in profondità sulla natura delle risposte fornite a questa crisi. Come alcuni osservatori hanno già acutamente osservato (leggi qui), anche in questo ambito si stanno progressivamente palesando due campi distinti, nei quali le priorità sociali e gli strumenti adottati per far fronte alla diffusione del “coronavirus” divergono in modo sostanziale. Da un lato, troviamo il campo socialista, capeggiato dal paese che per primo ha dovuto affrontare l’epidemia (la Cina); dall’altro, il campo che – a rischio di generalizzare un po’ – possiamo definire “imperialista”, che si trova suo malgrado a dover far fronte alle conseguenze di un fenomeno che ha esso stesso scatenato (la globalizzazione dei mercati e dei movimenti di merci e capitali, e conseguentemente anche di persone).

La risposta dei paesi socialisti, da un massiccio intervento pubblico alla solidarietà

Il primo paese ad essere toccato dal COVID-19, la Cina, è anche quello che finora ha messo in campo l’intervento più massiccio e drastico per interrompere la catena del contagio e tutelare la salute pubblica. Le misure adottate sono ben note: riduzione al minimo essenziale degli spostamenti, blocco quasi totale delle attività economiche, confinamento della popolazione in casa, ma anche investimenti incredibili nell’infrastruttura sanitaria (ormai celebre è l’esempio dell’ospedale costruito a Wuhan in soli dieci giorni). I risultati di questa strategia stanno emergendo proprio in questi giorni: il picco dei contagi in Cina pare essere ormai superato (leggi qui), mentre il problema principale sembra essere ormai quello dei cosiddetti “contagi di ritorno”. Tale situazione ha messo la Repubblica popolare nella condizione di poter rivolgere la propria attenzione anche agli altri paesi toccati dalla pandemia: oltre ad un team di medici specializzato, essa ha infatti inviato in Italia una grande quantità di materiale e apparecchiature sanitarie per far fronte al rischio di un collasso del suo sistema sanitario (leggi qui).

Ma l’esempio cinese non è il solo: il Vietnam, che per primo ha prodotto e distribuito alla popolazione un test “fai-da-te” per verificare la positività al “coronavirus”, è ora in grado di esportare questo prodotto anche verso i paesi europei che annaspano nella gestione dell’emergenza (leggi qui). La solidarietà socialista giunge però anche dai paesi sudamericani: oltre ai medici cinesi, pare che anche Cuba e Venezuela siano pronti ad inviare del personale medico in Italia per dare manforte ai medici e agli infermieri alle prese con la rapida diffusione del virus (leggi qui). Insomma, i paesi che fino a ieri erano vituperati e accusati dai governi e dai media occidentali di non curarsi dei diritti umani e dei propri cittadini, sono i primi a risolvere con successo questa emergenza e a mettere le proprie risorse umane e finanziarie a disposizione dei governi che spesso e volentieri li stanno ancor oggi asfissiando con embarghi di vario genere.

Il campo imperialista, dallo smantellanento dei sistemi sanitari all’accaparramento

A fronte di questo innegabile impegno umanitario del campo socialista, il campo imperialista (costituito dagli Stati Uniti d’America e dai loro vassalli dell’Unione Europea) sta mostrando il suo vero volto.

Da un lato, i sistemi sanitari di questi paesi – sottoposti ad irresponsabili programmi di risparmio negli ultimi decenni – stanno palesando lacune più o meno gravi nel fronteggiare questa crisi: anche paesi “modello” come la Germania sono in seria difficoltà di fronte al diffondersi del COVID-19 (leggi qui). Per non parlare poi della gravissima situazione in cui rischiano di trovarsi i cittadini americani, perlopiù privi di assicurazione sanitaria e delle necessarie infrastrutture medico-sanitarie (leggi qui).

Dall’altro, i governi occidentali stanno dimostrando come la presunta “solidarietà europea” o “atlantica” siano slogan del tutto privi di significato di fronte alle avversità: se il presidente americano è arrivato a tentare di accaparrarsi “in esclusiva” un vaccino sperimentale di fabbricazione tedesca (leggi qui), anche i suoi omologhi europei non hanno brillato per solidarietà. I governi di Francia e Germania hanno infatti imposto il blocco delle esportazioni di materiale medico verso l’Italia (il paese europeo attualmente più colpito dal virus), blocco levato unicamente su pressione della commissione europea, evidentemente preoccupata dalle conseguenze politiche di un tale gesto per il progetto d’integrazione europea (leggi qui).

Che dire? Gli interessi e le strategie perseguiti dal campo atlantico sembrano essere radicalmente differenti da quelli dal campo socialista, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la salute dei propri cittadini…

La Svizzera chiusa nella morsa della competizione europea?

Quali sono le conseguenze di tale scenario globale per la Svizzera, piccolo e neutrale paese situato al centro dell’Europa e a ridosso del principale focolaio continentale? Il primo a chiederselo è stato il Partito Comunista (PC), che il 10 marzo aveva evocato i rischi connessi alla dipendenza medica dall’estero: qualora le frontiere dovessero essere definitivamente chiuse, i numerosissimi frontalieri attivi nel sistema sanitario svizzero verrebbero infatti a mancare (leggi qui). Un’eventualità che neppure il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha potuto escludere: “Sappiamo che possono farlo: la Francia, la Germania, l’Italia. Misure straordinarie possono essere prese quando si è confrontati con problemi straordinari” (leggi qui).

Lo stesso vale per il materiale sanitario: di fronte all’accaparramento promosso da Francia e Germania, non sono da escludere rischi per l’approvvigionamento di strumentazione medica per gli ospedali svizzeri (leggi qui). La risposta alla crisi va dunque ricercata altrove, ad esempio nei paesi socialisti, che abbiamo visto essere ampiamente disponibili a fornire aiuto laddove necessario: in questo senso, l’Associazione Svizzera-Cuba ha recentemente richiesto al ministro della sanità Alain Berset di verificare la possibilità di importare da Cuba l’Interferone Alfa 2B, un medicamento prodotto sull’isola caraibica che ha già dimostrato la propria validità nella lotta al virus (leggi qui).

Questa crisi sta mettendo a nudo la fragilità del nostro sistema economico e sociale fondato sul mercato e sulla “libera” competizione: passata l’emergenza, sarà necessario interrogarsi a fondo su di esso e riconoscere, come alcuni già oggi fanno, la superiorità dei sistemi socialisti fondati sulla solidarietà e sul perseguimento del maggior benessere sociale possibile.