Registrarsi su un’app per certificare la propria negatività al Covid o, per, in caso contrario, essere evitati dagli altri. Immuni è l’app che fa discutere (e che, si pondera, potrebbe essere disponibile a breve), perché certifica gli spostamenti delle persone e la loro salute, per preservare la loro e quella degli altri. Per uscire dall’emergenza sanitaria è necessario non contagiarsi più tra di noi, ma siccome non è possibile che il mondo del lavoro si fermi ancora per molto, l’app Immuni prevede di schedare tutti i positivi e tutti i negativi al Covid19, cosicché tutti possano sapere chi passa loro vicino.  Ma, così, addio privacy: il governo saprà ogni nostro spostamento e, per salire sui treni o passare i confini anche comunali, sarà necessario mostrare la propria app ai posti di blocchi. Scenari apocalittici o realtà? In Australia, un’app simile sarebbe già attiva. 

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Si chiama “Immuni” l’app che prevede di tracciare i movimenti delle persone nella “fase 2 di convivenza col Coronavirus”. 

Dal mese di maggio l’applicazione potrebbe essere disponibile per tutti, ma il progetto non è esente da problemi. Ad esempio ci si interroga su a chi toccherà gestire l’immane mole del background di dati privati che arriveranno. La custodia dei dati di privacy dovrà essere affidata a una struttura pubblica, possibilmente seria e in grado di gestire informazioni così delicate.

Si pondera la disponibilità di due ministeri: quello della Difesa e quello dell’Interno per gestire il server.

Per tranquillizzare alcuni “fautori dell’autarchia post litteram” si esclude la possibilità di affidare i dati privati a società straniere statunitensi come Amazon, bensì si considerano soggetti italiani come Sogei. Secondo il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, è fondamentale che l’app sia connessa al sistema sanitario operativo nazionale, per intervenire il prima possibile, in caso di positività.

Resta il problema della privacy: perché dover comunicare i propri spostamenti al governo? Allora si è ipotizzato che potrebbe essere anonima e volontaria, ma così, è stato ribadito, non servirebbe a nulla. Si è allora pensato di archiviare i dati su un braccialetto elettronico che assicurerebbe l’anonimato, ma la strada per la deliberazione è ancora lunga.

Intanto, in Australia, un’app simile è già stata introdotta sui telefonini, riscuotendo un inaspettato successo: oltre un milione di download. Grazie al modello decentralizzato, la privacy sembra essere, per ora, protetta e funziona grazie allo scambio, al momento del contatto tra i dispositivi, di un codice da essi fornito, anonimo e criptato. In caso di contagio l’app avverte l’utente e le autorità sanitarie.

Dopo 21 giorni dal server spariscono i dati, preservando così, da un lato lo spazio di archiviazione, dall’altro la tanto decantata privacy.

È a Sidney che dobbiamo ispirarci?