di Vittorio Volpi

il tempio Pohyon sul monte Myoyang – foto Wiki commons (David Stanley) https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/deed.de

Avevo chiesto nel mio programma, inter alia, di vedere a Pyongyang un’opera a teatro. Non sapevo se e cosa mi avrebbero offerto. Immaginavo una cosa leggera. Invece il venerdì alle 18.00 avevo un invito per vedere una rappresentazione dal titolo “La ragazza dei fiori”.

I miei due custodi mi dissero che testi e musica erano stati scritti dal “caro leader” (Kim Il Sung) il fondatore della “dinastia rossa”. L’epica attribuiva a Kim un forte culto della personalità. Nella mia vita ho visto molte dittature, ma nessuna con l’onnipresenza del “nostro caro leader”. Ovunque si andasse si trovava una sua statua o sue immagini, nelle strade, nei treni o metropolitane. La “tragedia musicale” devo riconoscere aveva una bella musica, l’attrice-cantante non era solo graziosa, ma dotata anche di una bella voce. I balli e cori erano pure molto apprezzabili. La sorpresa fu il pubblico. 2-3 mila signore, tutte in “hanbok” (il costume tradizionale coreano) e con il fazzoletto in mano per asciugarsi le lacrime. Il dramma si svolge durante l’occupazione giapponese (1910-1945), una sottomissione violenta e crudele. Il target, ancora oggi, era il Giappone che impose nomi giapponesi, lingua e leggi spesso spietate.  Molti coreani vennero deportati per farli lavorare nelle miniere, fabbriche, infrastrutture in Giappone. Ci ricordiamo negli ultimi anni il dramma delle “confort women”, ragazze e donne costrette a prostituirsi per i soldati giapponesi. Dramma non sopito ad oggi.

La tragedia ci testimonia la drammatica occupazione nipponica coadiuvata dai “landlord” coreani asserviti al Giappone. L’immenso palco aveva ai lati due schermi che in coreano e cinese proiettavano le parole degli attori. Leggendo il giapponese, ho potuto seguire abbastanza il dialogo cinese. Peraltro le melodie cantante ed il coro erano molto belli e commoventi. Nel pubblico un pianto unico. La persona coreana che mi accompagnava mi disse “l’ho vista più volte ed ogni volta piango”.  Avevo capito che l’odiato nemico era rimasto il Giappone (non altrettanto l’America) che era un dramma dell’invasione straniera e della ribellione civile con vendette contro l’usurpatore ed i suoi complici, un’atmosfera pesante di tristezza, mai un sorriso.

Il giorno successivo, al mattino, visita alla chiesa cattolica di Pyongyang. Avevo letto su un giornalino inglese, il Pyongyang Times, che il governo aveva autorizzato l’apertura di una chiesa cattolica donando il terreno e finanziando la costruzione. Entrato nell’edificio, una bella chiesetta con vetri colorati rappresentati scene dal Vangelo, chiesi ai mie “due custodi” se potessi incontrare il sacerdote. “Non c’è”, la risposta… ma come? dissi io, una chiesa senza pastore? “No, c’è solo un custode”. Posso vederlo? chiesi. “Certo”.

Arrivò una signora, vestita di nero, di circa 65 anni. Ebbi un’intuizione, di cui sono ancora felice. Ho pensato, la signora è cresciuta sotto l’occupazione allorché era obbligatorio il giapponese. Volevo un dialogo diretto nel limite del possibile e quindi mi lancio e le dico “nihongo shaberimasuka” (parla giapponese?) la risposta “Hi” (sì). Ero felice, anche se sapevo di mettere in imbarazzo i mie due custodi.. nel curriculum incluso nella mia richiesta d’entrata, non avevo dichiarato di parlare e scrivere in giapponese. Non per malizia, ma perché mi sembrava inutile, l’inglese è la lingua franca.

La signora mi raccontò che avevano costruito la chiesa e lei ed il marito erano stati i primi ad andare a pregare, seguiti poi poco a poco da altri ed ora erano circa una quarantina di coppie. “Ma le debbo chiedere un piacere quando tornerà a casa, può portare in Vaticano la nostra richiesta per avere un sacerdote che possa somministrare i sacramenti?” “certo che lo farò”. La lasciai con commozione. Pensavo che esistono ancora persone che per la loro fede corrono dei rischi e ciò fa bene all’anima.

Naturalmente eseguii il suo desiderio con il Vaticano, anche se dubito sia successo nel frattempo, ma conservo la speranza che possa avvenire.

In due giorni avevo capito ed avuto conferma di come “sempre” funzionino i regimi e la loro propaganda. L’apertura della Chiesa era ai miei occhi solo uno degli espedienti per mostrare l’apertura del regime. Sempre più comprendevo la particolarità della Corea del Nord.

Un modello comunista che faceva presa su una società confuciana che vuole l’ordine, che è gerarchica, paternalistica. Miscelando gli ingredienti confuciani con quelli marxisti e l’autoritarismo con terrore creando la “Juche”. Con i soliti metodi, paura , campi di concentramento, censura totale.

Per questo motivo l’eventuale stato di salute dell’ultimo “principe rosso” è un segreto di stato. Ricordo che per giorni non potevo telefonare a casa, tramite Pechino bisognava prenotare la linea, un giorno prima non si sa bene per quale motivo, per finalmente riuscire a comunicare e tranquillizzare la mia famiglia a casa….

Ma sono felice di ogni minuto passato a Pyongyang. Avevo imparato una lezione di vita indimenticabile.

continua