Il penoso lockdown da Coronavirus, estremamente nocivo alla vita sociale e all’equilibrio emotivo delle persone, incomincia a suscitare una salutare ribellione.
Ticinolive è assolutamente contrario alla censura, anche se sente in ogni momento il dovere di esprimersi con correttezza e moderazione.
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immagine Pixabay

A mano a mano che si scrosta la vernice dal simulacro della “democrazia”, tenuto in piedi per continuare ad ingannare i cittadini-sudditi, il sistema dittatoriale in cui siamo immersi mostra il suo vero volto.

Due recenti episodi sono davvero emblematici a riguardo e fanno cadere definitivamente il velo che copre l’ipocrisia del “mondo libero”.

Il primo è il caso del giovane Dario Musso di Ravanusa, sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio per aver invitato la gente a reagire alla controversa emergenza del coronavirus e ad uscire in strada per riprendere una vita normale; l’altro quello di Rosario Marcianò – da anni in prima linea, giuste o sbagliate che siano le sue teorie,  per portare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’inquietante enigma delle “scie chimiche” e, più di recente, sullo scottante tema del 5G- che si è visto interdetto dall’utilizzo di qualsivoglia strumento di comunicazione, in forza della legge numero 159/2011, ex art. 3, commi 1 e 4 (contrasto al terrorismo ed alle associazioni mafiose).

Si tratta, senza dubbio, di due casi di patente censura. Come siamo arrivati a questo punto?

Con gradualità, in modo inavvertito dai più, distratti da qualche serie televisiva o dai berci del Masaniello di turno.

Possiamo, grosso modo, delineare quattro passaggi, nell’articolazione e dispiegamento di questo sistema di controllo e restrizione della libertà di esprimersi.

Si è cominciato con l’istituire il “politicamente corretto”. Sotto le mentite spoglie del rispetto delle minoranze e del “buonismo” si è trattato, in realtà, di un’operazione terribilmente violenta e sofisticata, perché pensiero e linguaggio sono interrelati e il secondo influenza largamente il primo (secondo la legge del determinismo linguistico di Whorf). Quello che non si può più dire, si finisce per non pensarlo nemmeno più; e quello che si dice, si finisce col pensarlo.

Tuttavia, qualcuno ha continuato, malauguratamente, a coltivare il vizio di pensare. Ecco allora diffondersi l’“etichettamento” (applicazione della omonima teoria sociologica): nascono i termini “complottismo” e “complottista”, connotati in modo negativo, con i quali è stato instillato nell’opinione pubblica un riflesso condizionato per cui chiunque tenti di ragionare o discutere a proposito delle tesi ufficiali è immediatamente etichettato e screditato.

É seguita la crociata contro le cosiddette “fake news” e l’istituzione di una task force atta a stabilire quale sia la verità. È evidente che, a questo stadio, il diritto di esprimersi sia già di fatto negato e si cominci già a sentire odor di inquisizione e di pire fumiganti per gli eretici.

Si appunti la dovuta attenzione sul fatto che all’informazione “canonica” è, invece, consentito mentire, -come ci spiega l’articolo: “Le bugie come metodo al tempo della pandemia”– perché le menzogne del potere sono “a fin di bene” e i cittadini sono “o troppo stupidi per capire, o troppo indisciplinati per adottare i comportamenti più responsabili”.

Presunzione sulla quale si può essere d’accordo o meno ma che, ancora una volta, fa a pugni con il principio democratico, mascherandosi dietro il paternalismo finto quanto stucchevole di un Leviatano da salotto.

C’è, infine, il passaggio ulteriore: la censura palese e la punizione dei colpevoli. Fase che i casi menzionati all’inizio dell’articolo testimoniano sia stata ormai raggiunta.

Ricapitolando, quindi, è vietato pensare (attività che era già abbastanza rara) e soprattutto tentare di comunicare il proprio pensiero, a meno che non si diffonda riproponendo una verità ortodossa rimasticata, o  un video di scurregge su internet, quelle senz’altro ben tollerate e ampiamente condivise a suon di fragorosi “like”.

L’articolo 21 della nostra Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” è oggi sospeso, così come, in seguito alla emergenza del Covid-19, lo sono molte altre libertà costituzionali fino a ieri ritenute inviolabili.

È il caso di prendere tutti finalmente coscienza che non viviamo più in un sistema democratico e la mascherina – che ci costringono a portare – è, in realtà,  un tragico bavaglio.

Se esiste anche una minima possibilità di liberazione e di riscatto non può che partire da questa presa d’atto.

La censura, quando è palese, ha, però, almeno il merito indiretto di indicare quali siano i temi veramente scottanti, che fanno parte dell’agenda del potere e devono essere tenuti lontani dal dibattito democratico.

Il 5G è uno di questi.

E la censura ci ammonisce anche sul ruolo di sorveglianza che ciascuno di noi dovrebbe esercitare. “Il prezzo della libertà è una eterna vigilanza” diceva Thomas Jefferson. Agli italiani, invece, pare non essere ancora chiaro quale sia il prezzo della propria schiavitù.

Accattone il Censore

fonte: comedonchisciotte.org