Coronavirus senza frontiere – Immagine Pixabay

Potremmo figurarci l’economia come una sterminata sequenza di anelli, dai piccolissimi ai grandissimi, alcuni fragilissimi, altri più resistenti ma tutti delicati. Congiunti gli uni con gli altri costituiscono una immensa ragnatela di interminabili catene. La fragilità, le difficoltà di un anello possono avere impensabili ripercussioni anche su catene più distanti.

Il titolare di un piccolo ristorante è un anello. Obbligato a tener chiuso mette in lavoro ridotto cinque dipendenti che preoccupati rinunciano ad acquisti non indispensabili (si riducono i consumi). Non solo il ristorante, ma anche il vicino parrucchiere, chiusi, non ce la fanno a pagare l’affitto. Sono inquilini in una casa fuori centro con sei appartamenti, acquistata dal proprietario con il capitale riscosso dalla cassa pensione più risparmi e un’ipoteca. Due dei sei appartamenti sono sfitti, conseguenza della superproduzione di case d’affitto originata dai massicci investimenti nel settore da parte di casse pensioni e società d’assicurazione. Investitori istituzionali scriteriati? No, cercano nell’immobiliare, anche mezzo sfitto, un reddito dell’1 o 2%, per evitare di vedere le proprie liquidità penalizzate dal tasso negativo imposto dalle banche centrali, politica volta sostanzialmente a mantenere a galla Stati super indebitati. Il nostro pensionato a un certo punto farà fatica a pagare interessi e ammortamento dell’ipoteca, obbligando la banca a passare il credito tra quelli in sofferenza. Con questo e molti altri casi: indebolimento del bilancio della banca che diventerà più rigorosa nella concessione di crediti.

Ma la chiusura di ristoranti e bar ha incidenza anche su molti altri anelli dell’economia. La ristorazione è tra i grossi consumatori di carne, vino e formaggio. La crisi si estende sino agli allevatori e durante il lockdown il consumo di vino è sceso del 35%.

foto Ticinolive

Le misure prese impediscono di viaggiare e leggo che nell’UE il numero di viaggiatori in aereo è sceso da 5 milioni a 50 mila. L’impatto sul turismo è devastante e in aprile gli alberghi italiani e spagnoli erano occupati al 5%. Le linee aeree per non fallire chiedono miliardi di sussidi. Il Governo germanico è pronto a salvare la Lufthansa ma vuol diventare azionista con una minoranza di blocco. La crisi rianima le tentazioni statalistiche dimentiche che una nazione ha bisogno di aeroporti efficienti, non di linee aeree di bandiera. A quelle ci pensa il mercato e noi non abbiamo subito alcun inconveniente con la scomparsa di Swissair. Macron dà sette miliardi ad una Air France che vale in borsa intorno ai 2 miliardi e che da lustri ha problemi. L’Alitalia, che è costata decine di miliardi ai contribuenti italiani, è praticamente fallita e mantenuta in vita da costanti trasfusioni di soldi pubblici. Approfittando delle misure per il coronavirus riceve 600 milioni di euro nella previsione di tornare sotto controllo statale.

Gli aiuti dovrebbero essere per i lavoratori ma finiscono in parte a mantenere costose bardature e funzioni dirigenziali che creano perdite. Per operare le compagnie aeree hanno bisogno di una serie di servizi – l’handling – che vanno dal controllo passeggeri, bagagli, rifornimento degli aeromobili e altro. In Svizzera Swissport, Gategroup, SR Technics (che operano internazionalmente) sono messe in ginocchio dall’annullamento dei voli.

E sul piano del lavoro? Le cifre sono da spavento tanto in Europa quanto negli USA si calcolano 30 milioni di persone disoccupate o al beneficio del lavoro ridotto. Potrei continuare con altri esempi, ma fermiamoci qui per chiederci come ci risolleveremo? Il crollo del PIL viene stimato al 15% in Europa (in Svizzera del 7%) e la Banca centrale europea calcola che solo nel 2023 – tra tre anni – si tornerà ai livelli del 2019. Non sarà facile e la strada della ripresa non potrà essere quella a ostacoli della burocrazia statalista e delle nazionalizzazioni politicizzate.

Con una botta del genere – non ancora terminata – ed in un mondo cambiato per molti aspetti e con nuove realtà si avrà bisogno di immaginazione e coraggio, credo dovremmo liberare gli «animal spirits», quell’ottimismo irrazionale e quella voglia di fare descritti da Keynes. Gli stessi «animal spirits» che hanno permesso la ricostruzione e l’eccezionale sviluppo negli anni ’50/’70. Sono stato presente sin dall’inizio e posso testimoniare come allora chi si impegnava nel lavoro, aveva iniziativa, sapeva rischiare veniva apprezzato e stimato – a differenza di oggi – e non veniva ostacolato anche socialmente dalla diffidenza burocratica.

Non saranno piani e pianificazioni a permettere di risollevarci ma l’opera disordinata di miliardi di piccoli e medi imprenditori nel mondo. Sono loro quelli che possono ricostruire la torta da dividerci (anche litigando). Sono mossi non da altruismo (Adam Smith), sono egoisti, ambiziosi, anche avidi. Alcuni tenteranno di sottrarre la panna e vanno pesantemente bacchettati sulle dita. Ma non leghiamo loro le mani, perché in tal caso la torta sarà più piccola e meno saporita.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata