La Covid-19 e la fase numero Tre (titolo originale)

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Noi non vorremmo più scrivere sull’orrendo Coronavirus, siamo esasperati. Ma lo facciamo poiché siamo costretti. Ci consola il fatto che l’illustre (e onnipotente) Avvocato deve fare lo stesso. Se lo fa lui, beh, possiamo farlo anche noi.

Il sabato non è stato così negativo. La mattinata baciata dal sole, poi un articolo del Corriere ha suscitato la nostra attenzione. “Il Socialismo che fa il tifo per il Virus” è il suo titolo (che farà urlare di rabbia). È firmato da un giovane politico liberale, Alessandro Speziali, che impugna una penna tagliente e sarcastica. Sembra dotato, efficace, godibile. Un piccolo saggio: “Stiamo assistendo, insomma, all’epifania del socialismo «accelerazionista», che nel coronavirus vede il germe in grado di uccidere il capitalismo – e intende fare tutto il possibile per accelerare questo processo di distruzione dell’ordine sociale esistente. Ora mettete insieme questa forza oscura con l’altro movimento apocalittico, l’ambientalismo antiumanista, che considera la nostra specie «un virus per il pianeta», e vuole punirci politicamente per le sofferenze che la crescita economica infligge agli ecosistemi.”

Chissà se l’Avvocato, nei giorni scorsi attaccato con veemenza dal dottor Cavalli (ma un po’ di pepe è una vera benedizione), approverà queste frasi? Noi lo sospettiamo ma, naturalmente, non siamo autorizzati a giudicare.

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La fase uno, oggi superata, è stata quella nella quale il virus, all’origine di una pandemia che ha colpito ogni parte del mondo, ci ha preso di sorpresa trovandoci impreparati. Yuval Noah Harari, un intellettuale molto quotato, nella quarta di presentazione del suo libro Homo Deus (2017) affermava che «all’umanità era riuscito di tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre». Questa imprudente sicurezza ha contribuito alla carenza di preparazione. Le sorprese, la mancata conoscenza e le imprevedibili conseguenze sono sempre all’origine di forme di panico, di reazioni affrettate e inconsulte, di misure perfino controproducenti. A ragion veduta possiamo fortunatamente affermare che il sistema svizzero e quello ticinese, nel caso COVID-19, hanno reagito con ritardo ma complessivamente bene. Parliamo del sistema nel suo complesso evitando forme di culto della personalità che non sono nel nostro DNA. Si è capita la necessità di guadagnare tempo per approntare l’apparato sanitario carente e metterlo in situazione da poter curare con efficienza i malati e nel contempo acquisire esperienze e maggiore conoscenza del morbo.

Ci sono pure state misure molto pesanti e autoritarie al fine di limitare il contagio, preoccupati tra l’altro per la velocità della diffusione. Ritengo ingeneroso mettersi ora alla ricerca di questa o quella misura ritenuta sproporzionata o inefficiente, di qualche frase infelice, specie se per critica partigiana. Faccio un’eccezione per le figuracce e i ritardi dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), tipico carrozzone internazionale, ma siamo fuori casa nostra. Imitiamo la saggezza degli ateniesi che dopo aver scacciato nel 404 a.C. i «trenta tiranni» emanarono il decreto dell’oblio.

Più tardi sarà opportuna una rivisitazione di tutto quanto successo non nella inutile ricerca di eventuali responsabili, ma per una lucida analisi delle cause al fine di essere meglio preparati per una possibile futura emergenza. Ci troviamo oggi nella fase due. Quella nella quale, superato l’impatto iniziale ed osservando le misure di prudenza, la società civile ha il diritto ed il dovere di porre e porsi degli interrogativi, di esprimere proposte, dissenso, critiche e pareri.

Wolfgang Schäuble, eminente uomo politico germanico, in una lunga intervista ha messo a confronto i due valori: dignità e vita, sostenendo che la dignità delle persone, menzionata nell’art. 1 della Costituzione germanica, è intoccabile e non esclude che dobbiamo morire. Altro interrogativo: a quale livello la protezione imposta agli anziani incide inaccettabilmente sulla loro libertà? Gli anni che restano loro da vivere sono limitati e i condizionamenti pesano molto di più, rischiano addirittura di amareggiare l’ultimo scorcio dell’esistenza.

immagine Pixabay

Helmut Hubacher, ultranovantenne e per tanti anni capo dei socialisti svizzeri, osserva giustamente che per lui ed i suoi coetanei il tempo perso non è più recuperabile. Economisti ma anche medici si sono posti pure la questione dell’utilità di prolungare per breve tempo esistenze tormentate dalla malattia con enormi costi per la società. Evidenti i risvolti etici. Si è aperta la discussione tra costituzionalisti a proposito della legittimità di toglierci delle libertà, dei limiti che anche l’emergenza non permette di valicare, dell’inclinazione dei governi di approfittare e possibilmente prolungare – come già nel 1945 alla fine della guerra – i pieni poteri. Infine, di grande attualità il possibile scontro, la concorrenza tra le esigenze della sanità e quelle dell’economia, non dimenticando che si può morire anche di fame. Interventi e sussidi statali, giustificati in via eccezionale dalla situazione, non possono sostituire i giochi del mercato nella produzione di ricchezza. Ma non solo, il lockdown, le restrizioni delle nostre possibilità di uscire, lavorare, socializzare hanno possibili conseguenze psichiche, anche quale risultato di rovesci aziendali. È la fase due che stiamo vivendo, con numerosi interrogativi e problemi, dove inevitabilmente si affronteranno e scontreranno diverse concezioni della libertà e dei rischi che la stessa comporta. Con questo dibattito torniamo a far Politica (con la P maiuscola). Poi verrà la fase tre. Fase per la quale dovremmo imparare, grazie anche, auguriamoci, ai progressi della scienza e possibili vaccini, a convivere con la COVID-19 come conviviamo con altre patologie non meno letali.

Essenziale sarà ritrovare la convivialità, il piacere dello stare assieme, del partecipare. Se assisto con altri ad un concerto, ad uno spettacolo, visito un museo, prendo parte ad una cerimonia religiosa, sono allo stadio per una manifestazione sportiva, partecipo, mi sento parte. Cosa impossibile se obbligato a seguire la manifestazione alla televisione o online. Vediamo riprodotta l’immagine della Gioconda continuamente ma vi sarà un motivo se milioni di persone vogliono vedere l’originale dell’inimitabile ed indecifrabile sorriso al Louvre. Dobbiamo contribuire a mantenere viva quell’enorme risorsa che sono relazioni e valori sociali, un capitale sociale che è la premessa indispensabile dei rapporti di fiducia.

No, non dobbiamo diventare dei sedentari robot che riversano tutto, compresi gli affetti, su asettici telefonini e social media, dobbiamo rimanere esseri umani che al panico, all’egoismo della inutile prudenza, sostituiscono la razionalità della paura che ci accompagna ma non ci impedisce di vivere.

Tito Tettamanti

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata