Shinzo Abe – Foto Wiki commons (CSCJ) – https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/deed.en

Non occorre un paese autoritario per vincere il virus, magari “Partito-Stato”; si può essere efficienti e democratici.

Il Giappone ne è un esempio, e a giudicare dai dati del contagio dopo la seconda ondata del Covid-19, ne esce con dei dati brillanti, se paragonato a molti paesi europei.

In occasione di una conferenza stampa il Primo Ministro Abe ha dichiarato vincente il modello giapponese, annunciando la fine dell’emergenza nazionale che è durata sette settimane.

Veniamo ai fatti con numeri alla mano. In tutto il Paese, inclusa la megalopoli di Tokyo con quasi 10 milioni di abitanti, ma con una presenza quotidiana di pendolari di parecchi milioni, ha subito circa 16 mila contagi ed “appena” 784 decessi sconfiggendo anche la teoria della fragilità degli anziani di fronte al virus.

Il Giappone, si sa, come aspettativa di vita è statisticamente uno dei più alti avendo più del 30% della popolazione superiore ai 65 anni.

È un risultato che avremmo voluto augurarci anche noi soprattutto in riferimento ai decessi, tenendo anche conto che il paese del Sol Levante ha una popolazione di 126 milioni di abitanti, due volte l’Italia e 15 volte la Svizzera. E c’è di più! La costituzione giapponese è molto debole quanto a poteri assegnati allo Stato. Abe infatti non ha potuto e non può imporre, come obbligo, il lockdown che noi europei abbiamo invece esercitato.

Il governo può solo suggerire i comportamenti (igiene, mascherine, distanze sociali), ma le azioni dei cittadini restano volontarie. Nessun diritto di multare, imporre misure coercitive o altro. Per questo Abe ha sottolineato che il successo è il risultato del “modello giapponese di società”.

A questo punto visti i risultati che però non premiano Abe che nel frattempo ha perso 10 punti nel suo indice di gradimento, viene spontaneo chiedersi come il successo sia stato possibile. Che misure siano state adottate e che impatto la cultura giapponese abbia avuto sui comportamenti.

Partiamo dalle misure. Molto simili alle nostre, mascherine (che i giapponesi usano molto quando hanno il raffreddore per tenere calde le mucose). Quindi nessuna obiezione al suggerimento di “mettere le mascherine”

Distanza sociale, incoraggiato lo smart working che funziona bene in un paese avvezzo all’elettronica e soprattutto ha un tasso di litteralità vicino alla totalità. Misure per vietare assembramenti, chiusi i musei, parchi, cinema, eventi sportivi e musicali,  niente baseball (sport nazionale), chiuse scuole da marzo.

Queste le misure basiche. Ma quale altro deterrente? Quello culturale, il senso civico cha ha fatto la differenza. Stando ad una ricerca dell’Università Waseda (un centro di ricerca di politica economica di Tokyo ) il successo ottenuto è grazie alla cultura dei cittadini.

In primis il forte senso di responsabilità individuale. Ricordiamo che il deterrente nella cultura confuciana  è “cosa gli altri pensano dei tuoi comportamenti, non la legge, ma l’esecrazione sociale fa premio”. È riconosciuto che i giapponesi non amino il contatto fisico, ci si saluta con inchini e questo ovviamente aiuta.

Delle mascherine abbiamo detto, a ciò bisogna aggiungere l’igiene personale. Un buon giapponese si fa il suo “ofuro” (bagno) quotidiano. Alla sera si possono vedere tanti giapponesi che si recano con asciugamano e catino al “sento”, il bagno pubblico che ha un prezzo politico. Piccolo particolare, quando i giapponesi rincasano si tolgono le scarpe. Una buona misura che fa la differenza. In sintesi, una serie di misure pratiche, volontarie perché lo Stato non può imporre, e quelle più soft, culturali hanno permesso al Giappone di contenere i danni molto meglio di noi.

Un caveat finale: perché Abe ha perso in popolarità? Perché è sospettato di aver dilazionato le misure anti virus per non rimandare le Olimpiadi, cosa che ha poi dovuto fare, ma anche per il caso della nave da crociera “Diamond Princess”.

Per recuperare, nel chiudere la conferenza stampa, Abe ha ringraziato con il cuore tutti quelli che hanno contribuito a conseguire il successo nella lotta al virus nel suo Paese, cittadini inclusi.

Il virus gli ha forse prolungato la vita politica.

Vittorio Volpi