Perché Taiwan è quasi un tabù?

Grazie ai suoi successi nel combattere il virus, Taiwan è salita agli onori della cronaca. Un paese di oltre 23 milioni di abitanti che vivono su isole in 40mila km quadrati, secondo i dati più recenti, avrebbe subito solo 441 casi di contagio e solo 7 decessi.

Rispetto a noi in Europa è quasi incredibile, ma ciononostante se ne parla poco perché i successi della Repubblica di Cina (RDC) non fanno piacere a Pechino, che vorrebbe che il mondo riconoscesse la propria bravura nell’aver fermato il virus con meno vittime rispetto all’Occidente.

Inoltre, il successo di Taiwan è stato ottenuto senza le misure poco ortodosse del Partito-Stato cinese, con una piena democrazia: “le ragioni del successo sono state le nostre istituzioni democratiche e la società civile” (dichiarazioni del sociologo Lin Thung-Hang).

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Come sappiamo, l’isola  traditrice “non è nemmeno accettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS) il che magari l’ha favorita.

I maligni sosterranno che avendo Taiwan subito la Sars, era giocoforza più preparata di noi, ma una cosa sola non spiega mai il tutto. I fatti dicono che poiché in Cina vivono-lavorano un milione di taiwanesi, qualcuno comunicò al governo di Taipei del pericolo imminente a Wuhan alla fine dell’anno. Ne seguirono azioni immediate, blocco dei voli da Wuhan, ricerca della catena dei contatti dei contagiati e messa in moto dei controlli quali tamponi, medicinali e mascherine.
Chiari i risultati..

Ma perché Taiwan è quasi un tabù? È una storia complessa che vale la pena di rivisitare sinteticamente per capire. All’inizio del ‘500, i portoghesi (Formosa) la scoprirono per noi occidentali. È solo nel 1985 a seguito della sconfitta militare cinese con i giapponesi che nelle condizioni di resa, Taiwan diventò colonia del Sol Levante e ci rimase fino ad Hiroshima e Nagasaki, cioè alla fine del secondo conflitto mondiale.

Nel frattempo la guerra civile fra l’esercito nazionalista (KTM) ed il movimento comunista di Mao fu vinta da quest’ultimo che proclamò il 1° ottobre 1949 la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Il suo grande avversario Chiang riparò con armi e bagagli a Taiwan dichiarandosi capo della Repubblica di Cina (RDC). Chiang fuggì con buona parte dell’esercito e degli armamenti, ma anche con la “cassa” (oro) della Cina e persino con collezioni straordinarie di oggetti d’arte, oggi visibili al museo di Taipei. Ma soprattutto si accompagnò con imprenditori e quadri dell’industria, timorosi di essere oggetto di “purghe” comuniste se fossero rimasti sul continente.

Il tutto sotto forte protezione sia militare che economica Usa.

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Questa miscela fatta di buoni imprenditori, soldi, modello economico (giapponese) di “Stato sviluppista” (mano visibile ed invisibile che operano insieme) ed aiuto Usa (tariffe, concessioni) di knowhow ed apertura del mercato Usa, hanno contribuito a uno sviluppo economico straordinario. Soprattutto  gli Usa aprirono la scuola, gli studi ai giovani taiwanesi che ritornarono preparati (fenomeno detto delle Sea Turtles (targarughe che tornano a terra).

Basti pensare che nei primi anni ’50 il reddito pro capite si aggirava sui 35 dollari l’anno (meno del Myanmar) oggi Taiwan è il 21esimo paese industriale. Un solo posto dopo la Svizzera, con quasi 25mila dollari di reddito pro capite.

Per anni  la RDC di Chiang ebbe un seggio permanente alle Nazioni Unite, sostenendo che di Cina ce n’era una sola, in attesa di riconquistare la parte continentale e viceversa per Pechino.

La visita di Nixon nel ’72 rovesciò i termini della contesa. Mao ottenne all’ONU il posto di Taipei e la stragrande maggioranza dell’Occidente non riconobbe più Taiwan.  Ora solo 19 paesi, minori, la riconoscono.

Il partito di Chiang (KMT) ha tenuto il potere a lungo, ma con il tempo si sono rafforzate le opposizioni fino a vincere le elezioni.

Le parti si sono rovesciate: la Presidente Tsai Ing Wer (DPP) ha rivinto a gennaio la rielezione con ampi margini dei voti (effetto Hong Kong, 57.1%), più di 8 milioni di elettori. Contraria alla riunificazione offerta da Pechino con la formula “un paese, due sistemi” non più credibile, la Tsai, 64 anni, studi alla Cornell ed Oxford, crede che Taiwan debba al contrario muoversi verso l’indipendenza. Sebbene la sua proposta goda, seconda i polls, di ampio consenso, le stesse indagini rilevano che la maggioranza dei cittadini ritiene che Taiwan finirà per essere integrata da Pechino.

Intanto Pechino dopo l’avvento di Xi Jinping ha assunto, e si vede, un atteggiamento più assertivo. La formula passata era “dobbiamo integrare pacificamente Taiwan”. Ultimamente, in un discorso del Primo Ministro Li Keqing, il “pacificamente” è sparito. Per cui essendo Taiwan parte del “sogno cinese” di Xi, il suo futuro rimane e rimarrà molto incerto!

L’ulteriore complicazione è che il suo futuro è una componente (anche grazie alla tecnologia) della guerra fredda che si profila fra Usa e Cina.

Taiwan è il primo produttore mondiale di semiconduttori “custom made” che la rende molto attraente.

Vittorio Volpi